mercoledì 25 aprile 2012
25 Aprile, una guerra e la sua fine.
Luca
C'È STATA LA GUERRA (estratto)
di Maurice Merleau-Ponty
filosofo francese
Avevamo segretamente risolto di ignorare la violenza e la sventura come elementi della storia, perché vivevamo in un paese troppo felice e troppo debole per considerarle. Ci avevano insegnato che le guerre nascono da malintesi che possono essere dissipati e da casi che possono essere scongiurati a forza di pazienza e coraggio. [...] Sapevamo che esistevano campi di concentramento, che ebrei erano perseguitati, ma tali certezze appartenevano all'universo del pensiero. Non vivevamo ancora in presenza della crudeltà e della morte, non eravamo mai stati messi nell'alternativa di subirle o affrontarle.
Nessuna servitù è più evidente di quella di un paese occupato. Anche quelli che tra noi non erano importunati e continuavano a scrivere, dipingere o comporre poemi, sentivano, ritornando al lavoro, che la libertà di prima era fondata su quella degli altri e che non si era liberi da soli. Se avevano un tempo potuto sentirsi allegri e padroni della loro vita, era anche questo un modo della coesistenza, reso possibile solo da una certa atmosfera, e imparavano a conoscere tra ogni coscienza e tutte le altre quell'ambito generale in cui comunicano e che non aveva altro nome.
Non avevamo capito che ciascuno di noi nella coesistenza si presenta agli altri su uno sfondo di storicità che non ha scelto, si comporta nei loro confronti in qualità di ariano, di ebreo, di francese, di tedesco; non avevamo capito che le coscienze hanno lo strano potere di alienarsi e si assentarsi a se medesime, che sono minacciate dal di fuori e tentate dal di dentro da odi assurdi e inconcepibili allo sguardo di un individuo, e che, se un giorno gli uomini dovranno essere gli uni per gli altri e i rapporti tra coscienze divenire trasparenti, se l'universalità deve realizzarsi, sarà in una società in cui i traumatismi del passato saranno stati liquidati e in cui anzitutto le condizioni d'una libertà effettiva saranno state realizzate. Nel frattempo, la vita sociale resterà questo dialogo e questa battaglia di fantasmi in cui si vedono scorrere vere lacrime e vero sangue.
Orbene, in quella battaglia non ci era più consentito restare neutrali. Per la prima volta, eravamo indotti non solo a constatare ma anche ad assumere la vita sociale. Ci siamo resi conto che ci toccava giudicare. Siamo stati portati ad assumere e a considerare come nostre non solo le intenzioni e il senso che i nostri atti hanno per noi, ma anche le conseguenze esterne di tali atti, e il senso che assumono in un certo contesto storico.
La verità è che ciascuno di noi si è adattato a stabilire un compromesso con la necessità esterna, tranne pochi che hanno dato la vita. Bisognava o cessare di vivere, rifiutare quell'area corrotta, quel pane avvelenato, oppure vivere, cioè ritagliarsi nella sventura comune un cantuccio di libertà privata, ed è quanto hanno fatto i più, limitandosi, per tranquillizzare la propria coscienza, a sacrifici misurati. Ciò non scagiona i traditori, che hanno richiesto il regime, l'hanno aiutato più del necessario e si sono designati da soli alle sanzioni della nuova legge; ma ci impedisce di giudicarli in nome di una morale che nessuno ha seguito fino in fondo. Solo gli eroi sono davvero stati al di fuori di quel che volevano essere nell'intimo, solo loro si sono uniti e si sono confusi alla storia nel momento in cui la storia li privava della vita. L'eroismo non si predica, si compie, ed ogni predicazione sarebbe qui presunzione, poiché chi può ancora parlare non sa di che cosa parla.
È vero che non siamo innocenti e che, nella situazione in cui eravamo, non esisteva condotta irreprensibile. Non ci sono due storie, quella vera e quella empirica, ce n'è una sola, e tutto quello che succede ne fa parte. Sicuramente questi anni non ci hanno insegnato a considerare cattivo quel che giudicavamo buono. La guerra e l'occupazione ci hanno insegnato a considerare che i valori restano nominali, e non valgono neppure, senza un'infrastuttura economica e politica che li faccia entrare nell'esistenza, anzi ancora: che i valori si riducono, nella storia concreta, ad un'altra maniera di designare le relazioni tra gli uomini così come si stabiliscono secondo il modo loro proprio di lavorare, amare, sperare e insomma coesistere. Non avremo nessuna verità da nascondere se diciamo tutte le altre. Nella coesistenza degli uomini, alla quale questi anni ci hanno risvegliato, le morali, le dottrine, i pensieri ed i costumi, le leggi, i lavori, le parole s'esprimono a vicenda, tutto significa tutto. Non c'è nulla al di fuori di quest'ultima folgorazione dell'esistenza.
INDICAZIONI STRADALI SPARSE PER TERRA (estratto)
di Nedzad Maksumic
poeta bosniaco
In guerra nessuno è matto. O almeno ciò non si può asserire nei confronti di nessuno. Molti di quelli che erano matti prima della guerra, in guerra si mettono in mostra molto bene. Come combattenti coraggiosi, convinti delle idee dei loro capi.
In guerra nessuno è intelligente. Non devi credere alla verità di nessuno. Le lunghe disquisizioni sull’insensatezza della guerra del professore di una volta, in un batter d’occhio si trasformano in un selvaggio grido di guerra, appena egli viene a conoscenza del fatto che il suo bambino gli è morto per la strada.
Non ricordarti di nulla. Prova a dormire senza sonno. Devi ornarti di amuleti e abbi fede nel fatto che ti aiuteranno. Abbi fede in qualsiasi segno. Ascolta attentamente il tuo ventre. Agisci secondo le tue sensazioni. Se pensi che non bisogna camminare per quella strada, allora vai per un’altra.
Non avere paura di niente. La paura genera nuova paura. Ti blocca. Devi credere fermamente di essere stato prescelto a restare vivo. Non lasciare lavori compiuti a metà. Salda i debiti. Devi essere pulito. Non fare nuove amicizie. Già con quelle vecchie avrai abbastanza preoccupazioni. Proteggi i ricordi, le fotografie, le prove scritte del fatto che sei esistito. Se tutto brucia, se perdi tutto, se ti prendono tutto... dovrai dimostrare anche a te stesso che una volta eri. Ammassa tutto nei sacchi di plastica, seppellisci nella terra, mura nelle pareti, nascondi, e solo ai tuoi più cari svela la mappa per raggiungere il tesoro. Non ti legare alle cose, alla terra, ai muri, alle case, ai gioielli, alle automobili, agli oggetti d’arte, alle biblioteche. Trasforma in denaro tutto ciò che ha ancora un prezzo. E tuttavia, non legarti in alcun modo al denaro. Appena puoi, scambialo con la tua libertà.
venerdì 6 maggio 2011
Agnello
Ho aspettato qualche giorno prima di pubblicare questo post: ho voluto aspettare il momento della partenza e della digestione. Ringrazio Ciccio per avermelo inviato e vi auguro buona lettura.
"ogni posto è una galera
anche il più bello è una galera
ogni corpo è una porta"
(L'impegno, Tre allegri ragazzi morti)
Una nervatura dagli occhi al cuore, un fascio di sottili nervi stimolano l'aria e dettano impulsi. Miele dentro, nebbia pastosa scivola nella lingua e le mani eseguono il dettato.
Nulla del caucciù qui intorno rimane, tutto svanisce con tre boccate. Rimane solo lei, montagna illuminata dal cimitero. La città è buia, chiusa nella notte fresca. I vivi non vogliono sapere. I morti lasciano la luce accesa, si sa mai che ti perdi. O ti accomodi.
Tutto arriva adesso a centoventi chilometri orari. Come il dub alle orecchie, come il sonno di chi ho accanto, come le chiacchiere dei vicini. Eppure ho calma nell'affrontare le curve, che pure sono pericolose, in questa strada infinita, fatta di deviazioni e segnali. Ci sono dei buchi nel buio, di colore azzurro, che invitano ad essere percorsi. Promettono l'insonorizzazione.
Dal mondo - aggiungo con una nota di spray.
C'è un tappeto di luci che dirige il mio sguardo al di là dei limiti di velocità, è una carrellata di arancione, verde con linee bianche, blu, asfalto. E cielo. Nero. Da perdersi.
Il sonno è distante dai miei occhi, fugge la sua naturale posizione in quella conca che è la testa. Che è notte nessuno può negarlo, ma non c'è niente da fare, quello che sto facendo l'ho sempre fatto da sveglio, solo rare volte mi sono concesso riposo. Sarà anche il magone che mi porto addosso come un vecchio cappotto. Lo sapevo che non dovevo mangiare l'agnello porchettato, che non lo digerivo. Beh, un agnello per quanto possa espiare i nostri peccati dubito che possa perdonarci tutto questo: sgozzato e messo a testa sotto, dissanguato, tosato, sventrato, sbudellato, fatto a pezzetti. Lavato e messo a macerare con acqua e limone che sennò puzza. Successivamente viene condito e adagiato su una teglia da forno e messo a cuocere ad alta temperatura per un paio d'ore.
Vai a farti raccomandare di toglierti i peccati del mondo! E di rimettere i nostri debiti dove debitamente devono stare.
Invece della mia famiglia non so se ho voglia di raccontarti. Adesso è Pasqua e io sto tornando. È sempre qualcosa che sta a metà tra desiderio e obbedienza il mio tornare. Ma non obbedienza verso i miei, no, quello è il desiderio. L'ordine che non posso subordinare è dato dalla terra. La mia terra, nel caso un'isola, la Sicilia.
Il canale di Sicilia si supera, su un traghetto, in una traversata di venti minuti circa, molto più sicuri di altri migranti che nelle stesse ore affrontano il Mare di Sicilia. A noi residenti è concessa la libertà di scattare fotografie, ogni volta uguali, a un mare che è sempre stato un amico o un pensiero a cui tornare nei momenti di sconforto o in quelli che chiamiamo mal di terra ferma. Stamattina il mare ha il colore nero del cielo durante la notte. Unica sfumatura bianca è rappresentata dalla vanità della Luna. Il suo riflesso nell'acqua si allunga, si spezzetta, ribolle. Il vezzo di una vecchia signora che continua a specchiarsi nell'acqua per nascondere le rughe.
La traversata dura un attimo, a facilitare tutto c'è la stanchezza, la gioia e una magia. Sembra in verità che il traghetto sia attratto dalla costa. Non stiamo navigando sferzando l'acqua con la chiglia, ne siamo staccati di qualche metro rendendo ovattato il nostro viaggio. Il tempo non si fa pregare e rallenta tutto anche la mia sigaretta, che non vuole finire.
“I passeggeri sono pregati di risalire!” Il resto del viaggio è uno scorrere di pellicole già viste: Messina, Catania, Gela, Licata, Palma di Montechiaro, Agrigento, Sciacca, Mazara del Vallo e infine Garibaldi.
Il vecchio Giuseppe. Mi viene in mente il padre del protagonista del film “Nel nome del padre”. Ricordi? C'è quella battuta bellissima quando il figlio insulta il nome del padre chiedendosi e chiedendogli che diavolo di nome è Giuseppe, con quel viso da buono bastonato, la sua religiosità sventolata come baluardo a tutte le difficoltà della vita. Lui che è un uomo onesto lavora per un allibratore. Gli rimprovera di non aver vissuto. Poi da bravo innocente cristiano cambia rotta e si redime.
Forse mangiando il mio agnello.
Ciccio Grass
domenica 6 marzo 2011
Giorni di merda
Dove ce ne andremo se Bologna sui tram non è quella di trent'anni fa? Il mio diario è pieno di pagine che raccontano di fertilità: sarà che prima ero ottimista, eppure adesso mi fido poco delle etichette sui prodotti al supermercato.
Giorni di maestri cattivi e di vulcani spenti sul "si salvi chi può", di condomini monolitici monotoni e di madonne che bestemmi con le sole contrazioni dei muscoli facciali. Mi rimproveri che se tutto si muove è perchè mi muovo io. Dici che non ti importa niente dei suicidi per amore, che vuoi fare il musicista anche se non hai mai suonato. I dispacci diplomatici ci distraggono, le gigantografie di Ben Alì che ho visto a Tunisi di cui ti racconto sembra ti interessino poco.
Giorni di merda erano quelli in cui la tempesta nel deserto minacciava la mia preadolescenza mediatica. Giorni di merda sono quelli che incombono ora con le loro defenestrazioni eccellenti che rendono sempre più la memoria come il carbon fossile: si conserva per milioni di anni destinato a bruciare in pochi istanti.
Dobbiamo solo decidere il modo in cui capitoleremo: insegnami a farlo con dignità, come tu facesti quella volta in cui strappasti senza esitazioni il tuo contratto a tempo indeterminato da ubriaco. Insegnami a farlo, fallo prima tu.
mercoledì 24 novembre 2010
Poi il silenzio
che vibrano
tra un sorriso fradicio di letizia
e una richiesta di verità passata alle mani
ansiose tra i miei capelli.
La bocca ricarica ed esplode in un dolce spasmo ritmato
tormenta l’organo dei rumori
bagnato e lievemente infreddolito.
Gli occhi alimentano la fiducia che velocizza l’agguato.
Spinte, balzi, percorsi di cera sul tuo corpo
e lesti graffi che dipingono la mia schiena.
Poi il silenzio, celebrato dal nostro fiato appagato.
martedì 16 novembre 2010
#6 (Dio è nel silenzio) - Il silenzio non è all'undicesimo piano
Dopo mesi di digiuno i rospi sono tornati a galla per mordere le nostre lingue. Non si riesce a tenerli giù per sempre, non si riesce mai a tenerlì giù. Queste sono giornate di merda, giornate che non lasciano spazio nelle tombe per permettere ai loro morti di rivoltarsi a piacimento.
La risalita dei rospi li ha condotti fino all'undicesimo piano dell'esofago in cui lavora Terzo. Le giornate di merda continueranno, finiranno per poi ritornare e così via; ma nel frattempo godiamoci questa storia.
Dall’undicesimo piano, questa la prospettiva del mio lavoro, si vedono diverse le cose. Un temporale, ad esempio, svela il lato giocoso che nasconde tra le nuvole grigie. Queste ultime che da sotto sembrano schiacciare la gente, viste da lì sono meno dense, più filacciose, più alla portata dei sogni umani. Altro esempio può essere uno stormo di rondini che lasciano posto all’inverno. Si muovono in numero esagerato e quando le guardi dal piano stradale resti un attimo incantato dalle forme che riescono a compiere. Dall’undicesimo piano invece riesci a cogliere la paura che gli batte in petto, la fretta di lasciare quel posto e la comodità di volare in numeri così grossi in modo da limitare le perdite. Dall’undicesimo piano, tale è la prospettiva del mio lavoro, mentre mi lascio andare alla meraviglia degli occhi, ripenso al percorso fatto per arrivare fin qui in metropolitana. Ci vogliono quindici fermate più o meno, cinque le faccio con la mia ragazza le altre dieci con la mia testa; e oggi, guardando il riflesso dei finestrini, mi sono accorto che tutte queste donne e questi uomini per doversi reggere ai corrimano devono fare il saluto col pugno, quello comunista! E mi è venuto da ridere e non sapevo trattenermi e volevo raccontarlo a qualcuno, ma quando sono salito in ufficio ho visto facce di cera, ancora assonnate ma già pronte a lamentarsi. Allora ho guardato fuori e sono andato via da quel posto, da quelle stanze e da quel palazzo, ho superato il palazzo dell’Eni, la metro e non so quanti monumenti e piazze e sono arrivato al confine d’acqua. Poi lo squillo del telefono mi ha riportato indietro, la direttrice ha mandato la nuova lista su cui lavorare.
Lavoro per una delle più grosse società di telefonia mobile, noi facciamo il recupero crediti, il che vuol dire che lavoro in un call center e devo chiamare donne e uomini che non hanno un volto ma solo un codice clienti, da cui si tira fuori nome e cognome, dove vivono e soprattutto quanti debiti hanno. È inverosimile ma mi capita di sentire gente che ha problemi finanziari giganteschi come ad esempio la perdita del lavoro o un divorzio e io dall’alto del mio telefono devo ricordagli un debito sulla bolletta telefonica o sul servizio internet. Quando propongo un pagamento rateizzato queste persone mi ringraziano come se gli avessi regalato qualcosa, come se gli stessi dispensando dell’ossigeno, una boccata d’aria in più, un po’ di tempo per sistemare le cose familiari ed evitare il collasso. Altre, invece, non gioiscono più di niente, la vita li ha completamente rassegnati e di fronte ad una minaccia, o promessa, che il loro caso passerà agli avvocati per il recupero forzato alzano le spalle (immagino facciano così) e dicono sommessamente “che vada tutto alla malora. Anche io.” Ed è in questo momento che non sopporto più, allora mi alzo, guadagno un po’ di metri dalla scrivania, prendo le scale e scendo giù, fuori, dove mi aspetta un bel giardino fatto di pini e olmi, alberi di giuda, cespugli, prato e panchine. Mi metto a sedere, tiro fuori il tabacco e mi arrotolo una sigaretta e nel fumo delle prime boccate passa Michele. Non so se è il suo vero nome questo, è il giardiniere che cura in silenzio gli alberi e pettina il prato col suo rastrello. Gli ho dato questo nome perché mi piace pensare che sia come San Michele Arcangelo protettore della polizia di stato, dei paracadutisti, degli spadaccini, maestri d'arme e armaioli, degli arrotini, dei commercianti, dei giudici, dei merciai e dei lavoratori tutti. Michele dall’ebraico Mi-Kha'El, composto dalle parole mi (chi), kha (come) e El, abbreviazione di Elohìm cioè Dio. Il significato letterale è quindi Chi (è) come Dio, chi come Dio lavora in silenzio e si prende cura delle sue creature. Mentre lo guardo penso alle nostre differenze, alle armi che usiamo per svolgere il nostro lavoro: lui con forbici, rastrello e scala telescopica effettua movimenti lenti, avendo cura di non fare male agli alberi mentre li defoglia o modifica qualche ramo o mentre raccoglie dal prato le foglie secche. Io che con telefono e computer mi affanno a comporre numeri telefonici e a parlare alle persone per concordare un possibile piano di rientro, ad arrabbiarmi se penso che nonostante la mancanza di lavoro o i disagi economici il bisogno di avere internet a casa è più grande. È come se i bisogni primari di questa mia società si siano modificati e tendano al superfluo. Non importa se hai un lavoro in nero, ti ci vuole una bella macchina per arrivare al locale dove fare l’aperitivo. Non importa se su quella macchina puoi solo mettere dieci euro di benzina, altrimenti non hai soldi neanche per una birra, perché sai che con una bella macchina hai più probabilità di rimorchiare.
domenica 30 maggio 2010
Un mondo nelle tasche
Il vostro Dio mi annusa per rubare il mio profumo e farlo suo eternamente.
Sono nato, sono figlio, sono maschio.
Questo è rosso, quello blu.
Questo è il sole, poi verrà la luna.
Uno è sempre uno, non è inizio e non è fine.
Questo brucia, quello uccide.
Il bello piace, il brutto dispiace.
Le cose fatte al meglio, le cose fatte bene,
quelle da non fare e quelle incompiute.
I successi inanellati che diminuiscono la pietà che si ha di sé.
Gli inutili trambusti, su e giù per spiagge lunghe e strette.
Le agitazioni cronometrate e il perpetuo assopimento delle voglie.
Sorrido e sono finto, sorrido e sono vero.
Quasi mai piango e quel poco che lo faccio è come morire sperando di rinascere.
venerdì 2 aprile 2010
#5 (Dio è nel silenzio) - La Pinergia
Come sempre preferiamo la risonanza dell'esofago, lasciamo ai festaioli abusi e misteri. Dio tace, Terzo racconta, io vi invito a leggere. A presto.
Ciao CammaRè, sono Terzo in ritorno dal girone d'andata all'inferno e ora mi sembra così brutta 'sta città...Ho incontrato uno strano stranissimo personaggio durante il viaggio e te lo racconto così come mi è venuto accanto mentre stavo seduto in stazione ad aspettare il treno:
Pino: Salve straniero, io sono Giuseppe ma può chiamarmi Pino.
P: Complimenti caro per il bel nome che la sua famiglia le ha imposto. Sembra, a dire il vero, un numero...no?
T: Si in effetti, però rappresenta un grado: è il grado del mio vero nome.
P: Un grado? Allora mi sa che lei ha un nome di merda e preferisce il grado. Si chiama forse Giacosilvio Terzo Di Canterbury? Oppure...
T: No, no! Mi chiamo Terzo e basta.
P: Senta signor Terzo Straniero cosa fa qui?
T: Beh, aspetto il ...
P: Aspetta! Il signore aspetta! Che si crede, stiamo tutti aspettando qui ...
T: Non c'è bisogno di urlare, si sieda! Con calma Pino, da bravo...si, stiamo aspettando tutti, d'accordo? Aspettiamo il treno che ci porta via, in fretta.
P: Ma cosa va blaterando? Dico: CO-SA-VA-BLA-TE-RA-NDO? Lei mi fa bollire il sangue e neanche la conosco! Ma si rende conto di dove ci troviamo?! Lei ha ragione a guardare dall'altra parte cercando aiuto, perchè forse non ha ancora realizzato una concezione basilare dello spazio-tempo...
T: Aspetti Pino, aspetti ... cosa vuol dire tutto ciò? Cosa significa la concezione basilare dello spazio-tempo?
P: Caro Straniero, è semplice. Ma la semplicità è spesso lasciata in disparte, ciò che interessa è la complessità delle cose. I nostri sensi saturi stentano a concepire lo spazio-tempo in maniera non consona alle linee guida dettate dalla società. La sua discesa qui è qualcosa di semplice che sconvolge però il suo ed il mio modo di vedere le cose. I nostri mondi sono diversi, lei non dovrebbe essere qui...
T: Ma cosa sta dicendo? Non riesco a seguirla...lei è pa...
P: Normale che non riesce a seguirmi! Lei si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato.
T: Ma perchè, secondo lei dove cazzo siamo se non in una cazzo di stazione?
P: Non c'è bisogno di urlare, si sieda! Con calma Straniero, da bravo...si sieda che le spiego tutto io. In effetti non è poi così semplice ma se si lascia guidare l'aiuto io.
T: Oddio, ma lei chi è? Tutto così confuso...mi devo fidare di un ma...
P: No! Come prima cosa lei deve tirare fuori il diavolo che ha nella sua tana. Il cannocchiale che usa è messo al contrario perciò tutto le sembra lontano...deve seguire il ragionamento, magari un pò scemo, ma sempre un ragionamento. Lei è all'inferno caro Terzo Straniero. Su questo dato il fatto è un fatto e le parole non galleggiano più come in superficie, qui l'aria sa di zolfo e come ben sa lo zolfo puzza. Qui conta solo la sua energia, meglio ancora qui conta la
Pinergia.
T: La pinergia...
P: Ben detto! La conosce già?
T: Non so di che diavolo sta parlando.
P: Esatto! Il Diavolo! Lo tiri fuori Straniero! Solo così può liberarsi dalle oppressioni di questo mondo.
T: Quale mondo?
P: Bravissimo! La domanda è esatta, ed il problema principale qui sono le domande non le risposte. La Pinergia, ad esempio, è l'Energia sprigionata da chi come me si chiama Pino. Da quel che ne so sono l'unico Pino ad avere questo potere, e sto compiendo degli studi per dare carattere istituzionale a questa mia scoperta psico-scientifica! Ma pensi: la Pinergia libererà gli uomini dal peccato, dal rimorso, dal rimborso e dalla tosse...sa quella fastidiosa tosse che viene quando uno ha una voglia matta di dire le cose però non può farlo per senso del pudore o per vergogna?
T: Quando uno per senso d’etica comune non dice le cose che ha dentro lasciandole marcire e poi viene quel nodo alla gola che ti fa diventare matto, si comincia a tossire e alla fine quello di cui hai bisogno non è un fluidificante del catarro ma uno sfogo come si deve? No, non ho presente. Lei mi sta confondendo non poco le idee caro Pino.
P: È questo l’effetto della Pinergia! È travolgente, spossante, ruba al conosciuto e regala il sogno. Lei deve coagulare tutta la sua depressione...
T: Ma io non sono depresso!
P: Lei non è depresso d’accordo...diciamo che è stressato. Ma si guardi. Soprattutto si ascolti! Fa dei discorsi che non stanno in piedi, caro Straniero o qualunque sia il suo vero
nome. Insomma, sono tre ore che mi tiene qui parlando di diavoli e tane, di tosse, di energia e rimborsi!
T: (visibilmente incazzato) MA COSA STA DICENDO? LEI È PAZZO! Adesso vorrebbe darmi a intendere che sono io che l’ho importunata per tre ore buone con tutte quelle cazzate che mi ha detto! Mi ha rotto i coglioni per tre ore dicendo che io non dovrei essere qui...e dove? Dice di chiamarsi Pino e di trovare stupido il mio nome - il mio nome! Ma ha
sentito il suo? Cazzo, Giuseppe! Giuseppe!!! E poi la Pinergia...ma cos’è un prodotto forse? Vuole vendermi l’aria? O uno spray che mi farà diventare felice? O forse una pillola o una supposta che fa passare la tosse e ti obbliga a parlare a vanvera con perfetti sconosciuti a cui confondere il cervello? La pinergia! LA PINERGIA!!!
P: Lei mi sta facendo paura signore. La prego di allontanarsi da me o mi vedo costretto a chiamare la Guardia. Lei non è cattivo, signore: glielo leggo negli occhi che non farebbe mai del male a nessuno; malgrado ciò lei ha esagerato signore. Mettersi a urlare in questo modo con la faccia che si ritrova in questo momento... devo ammetterlo ...
Intanto qualcuno ha davvero chiamato una Guardia che mi ha bloccato mentre avevo il signor Giuseppe fra le mani pronto per fare a botte. Mi hanno portato alla stazione della Guardia per la denuncia che Pino mi stava per fare. In visibile stato di shock lui, visibilmente abbandonato all’ira io.
Dopo sei ore mi hanno rilasciato. Non so come il mio lettore mp3 si è messo a registrare la chiacchierata con il signor Pino e la sua Pinergia. La Guardia che scriveva il verbale ha potuto così sentire che io stavo nel giusto e che al povero Pino servivano delle cure mediche.
Questo che ti mando è solo un estratto della discussione, un montaggio che ho fatto giocando a levare dal materiale audio che mi sono inconsapevolmente ritrovato.
Magari ne faccio altri...boh ... la Pinergia mi ha sconvolto l’esistenza.