giovedì 25 giugno 2009

Terzo di Terzo (Dio è nel silenzio)

Il terzo scatto di Terzo è la chiave di volta della rubrica Dio è nel silenzio.
Ne abbiamo parlato insieme ed entrambi eravamo d'accordo che fosse arrivato il momento di chiarificare il concetto su cui si è costruita la rubrica.

Nell'introdurre il #2, avevo detto che noi siamo ciò che siamo; questa, tuttavia, non è che una conseguenza del fatto che Dio si conclami essere supremo (l'Essere) dicendo a Mose: "Ego sum qui sum" ("Io sono colui che sono").
Dio è l'Io sono, Noi siamo il Noi siamo. E ne parliamo volentieri.

Qualche giorno dopo la pubblicazione di #2, parlando con Terzo, gli ho chiesto di rendere ancora più palese la paradossalità della sua rubrica: da un lato gli uomini e i loro giorni, gli uomini e le loro cose; dall'altro lato Dio che diventa figurato quando usa parole, quando si fa Verbo. Ma le parole sono umane...

Quale contorto percorso conduce al divino nei racconti di Terzo? Dai rumori dei suoi racconti come può nascere la ricerca silenziosa di ciò che è eccellente (o eccedente)?
A questi interrogativi risponde terzo di Terzo. Buona lettura.



All’inizio della Tana, quando ancora le idee erano allo stato embrionale, il mio caro amico mi chiese di partecipare lasciando qualche commento. La cosa era più difficile di quanto non sembrasse. Dopo un po’ di tentativi inutili gli chiesi lo spazio e la possibilità di inserire una mia rubrica di racconti, di corto-racconti per essere precisi: fotografie di realtà viste e sentite. La scelta del nome della rubrica è un paradosso dal momento che raccontando una storia, e quindi parlando, cerco Dio nel silenzio. Ma è anche il continuo spiegare dell’uomo, con le sue parole, il suo mondo e quindi Dio.Tutti quelli che credono, tutti quelli del mistero della fede, danno per buone che le parole dette da uomini siano quelle divine che possono ascoltare. Per me, per noi, le parole divine hanno bisogno di orecchie divine, quelle umane di orecchie umane. Se Dio è ciò che è, noi siamo quello che siamo. È giusto e comprensibile concedergli questo privilegio, in fondo Lui è colui che crea e genera, noi siamo i creati e generati, lasciati al nostro triste e potente libero arbitrio.


“Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante. Il popolo vide, fu preso da tremore e si tenne lontano. Allora dissero a Mosè: «Parla tu a noi e noi ascolteremo, ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo!»”. Questo sintetico brano tratto dalla Bibbia (Esodo) riesce a far comprendere bene il concetto che sta dietro il nome della mia rubrica. Ma, come dice Luca, i cattolici (e non solo!) non smettono di storcere la bocca. Per loro Dio è rivelazione proclamata, si fa Verbo e si fa conoscere. Per me non è così. Se noi fossimo davvero capaci di ascoltare le parole di Dio ci bruceremmo, ed è per questo che il popolo di Mosè crede ciecamente alle parole che costui spaccia per divine. È la paura dell’ignoto che fa credere che se Dio parlasse loro, la fine della loro vita sarebbe prossima. È il Mistero della Fede che incatena le mani e apre la bocca per parlare, parlare, sempre e ininterrottamente. Mettere la propria voce su tutto, ma non spiegare mai, non arrivare mai a risolvere quel mistero.


Dio è nel silenzio. Ed è tutta un’altra cosa, è tutto un modo di vedere diverso. Se esiste è proprio nel mio intimo che posso trovarlo. Se esiste è nel mio silenzio che posso cercarlo e trovarlo in una eco che ripete i battiti del mio cuore. Dio è nella mia vita. Sta nel mio stare in piedi di fronte alle cose del mondo, di fronte alle storie del mondo. È da questo pensiero che nasce per me il bisogno di raccontare le storie che mi sono capitate. Rendere meno ignoto quello che vivo.


Io sono Terzo. Questo è il Terzo. Da ora in poi cercherò di farvi conoscere tutti i personaggi che gravitano intorno al mio mondo. Creeremo insieme una sorta di Spoon River italiana, tendendo bene l’orecchio verso il silenzio.


Terzo

domenica 21 giugno 2009

La meccanica di un giorno d'amore

Uno schiaffo e un tuono, parole come spugne salate.

Abbiamo abusato di locuzioni come "dal momento che", "in fondo" e più di tutte "alla fine", ma siamo riusciti a superare la nausea aggrappandoci alle tracce che ognuno di noi aveva dentro sè dell'altro.


Due carezze sotto le nuvole, parole come semi di fiducia.

Dopo il tuo abbraccio ho sentito il calore che precede il ritorno veloce della fiamma. Sei rimasta per pochi secondi di fronte al portone e prima di cercare la chiave nella borsa sei tornata da me per donarmi ancora un pò del tuo soffice odore.



Baci e luce, parole sussurrate al miele.

C'è un disegno per noi, lo sappiamo entrambi e questo ci rende migliori; tutto è già previsto ma non abbiamo mai avuto paura di invecchiare.

Ci sveglieremo con la voglia di soffocare la stanchezza, con le maniche alzate fino ai gomiti e le lenzuola saranno aggrovigliate. Fermeremo i nostri sguardi solo quando le nostre mani, tra qualche giorno, saranno ancora intrecciate: allora concederemo ai nostri cuori il riposo che essi meritano e ringrazieremo la natura che ci ha fatto così preziosi.

giovedì 18 giugno 2009

La classifica dell'allegria

La mia verità sta nel fatto che mi dissolverò cosi come si dissolvono tutti gli esseri della mia stessa specie. Ma non siamo i soli, persino le meduse e i coleotteri si perderanno per sempre. Tutto ciò sembrerebbe ininfluente al cospetto della sorprendente classifica pubblicata su un quotidiano che ho al momento tra le mani: vi sono elencati i paesi di tutto il mondo e l'ordine che seguono è quello della loro presunta allegria. 187 paesi, 187 differenti gradi di allegria. La cosa davvero sorpendente è che l'Italia è al primo posto...mi aspettavo il Brasile o comunque un paese sudamericano; la loro allegria è proverbiale. E invece no: siamo noi i più allegri. Purtroppo non sono specificati i parametri che ci permettono di gioire di questo successo, ma da una classifica che miri ad indicare il paese più allegro del mondo mi aspetterei parametri come: 1)capacità dei cittadini del paese in questione di essere autoironici, di saper vedere il lato buono delle cose; 2)altruismo e apertura verso il prossimo...insomma criteri che sottolineino la sanità, la bontà e la leggerezza di un popolo.
Pensandoci bene credo che "allegria" sia usato nella sua accezione più sprezzante, altrimenti non staremmo in cima a questa classifica. "Allegria" sta in questa circostanza per "atteggiamento irresponsabile, faciloneria
". Ecco adesso torna tutto: siamo i più irresponsabili e faciloni di tutto il mondo.
Provo vergogna per questo; meno male che mi dissolverò e auguro alle meduse che sguazzano nei nostri mari e ai coleotteri che volteggiano nei nostri cieli di perdersi nell'eterno il prima possibile.




P.S. "Niente è la morte in confronto alla vergogna" (Leonardo Sciascia)


sabato 6 giugno 2009

#2 (Dio è nel silenzio)

Per Terzo Dio è nel silenzio e i cattolici (ma non solo!) non smettono di storcere la bocca. Per loro, infatti, Dio è rivelazione proclamata, Dio si fa Verbo e si fa conoscere.
Io e Terzo non conosciamo le parole di Dio; così non ci resta che usare le nostre, pur sapendo che il silenzio è divino. Noi siamo ciò che siamo.
Quello che segue è il nuovo racconto che ho ricevuto da lui.




I miei occhi, simili al movimento dell’insetto, volano e si posano su tanti strani tipi di faccia. Queste, dalle più varianti fisionomiche, m’attirano come un fiore colmo d’odore.

Ci sono, in questo tubo veloce le facce accigliate, tristi, pensierose, allegre; fisse in un punto indefinito, perse nella musica che ascoltano, addolorate, sporche di bianco vernice; addormentate, preoccupate, piangenti, colloquianti, paranoiche, down, in attesa. Zigzagando di faccia in faccia, dentro quel tubo profondo sotto la terra, mi meraviglio sempre più della bellezza creata dall’insieme di esseri umani che popolano questo mondo effimero, società metropolitana destinata a subire dimagrimenti e ingrassi ad ogni fermata.

I miei occhi spingendo al di là del loro stesso raggio visivo, vanno a posarsi su un omino seduto-minuto. M’incuriosisce a tal punto dal dovermi avvicinare mettendo meglio a fuoco i particolari: manca di capelli vicino alla fronte e il resto che rimane, ai lati della testa, gli crea una buffa corona grigia. Porta degli occhiali che dallo spessore delle lenti mi fanno pensare sia miope. La schiena un poco curva gli crea una piccola gobba nel mezzo delle spalle. Le sue gambe sono sottili e gracili e terminano in due lunghi piedi. La sua forma somiglia vagamente agli stereotipi cinematografici dei geni folli. Ha due piccoli occhi ben messi alla destra e sinistra di un grosso naso che finisce ricurvo. Le sue labbra sottili non smettono di muoversi, sono frenetiche, sembrano salmodiare o recitare qualcosa.

Noto che il piccolo genio dalla carnagione chiara ha poggiati sulle gambe due quaderni, uno a righe e l’altro a quadri; mentre ripete le sue minuscole parole in un continuo movimento di labbra di tanto in tanto scrive cifre nei quadri e frasi nelle righe. Sembra stia cercando qualcosa che sta fra la matematica e la letteratura. La cosa ancora più strana è che cerca questo qualcosa in metropolitana, guardando le facce della gente deducendone numeri e riflessioni. Mentre penso a questo, in un attimo d’individualità, sento il suo sguardo fisso su di me. Mi giro e i suoi occhi bizzarri mi seguono con divertimento, le labbra sempre in movimento. D’un tratto piglia il quaderno a quadri e segna tre cifre, poi tre frasi in quello a righe, fa un ghigno e si volta verso un’altra persona.

Sbalordito e immobile penso: cazzo! non saprò mai cosa ha pensato di me.



Terzo

giovedì 4 giugno 2009

Ombra nera

Passano le ore, altre tane e altri esofagi. All'esterno, tanta vicinanza e qualche mistificazione di ombre disinteressate. Mi consola trovare nuove parole da pronunciare, mi allietano quelle che mi invia wilsonW. Grazie a te, buona lettura a voi tutti.

Ombra che perseguita
viscerale
attaccata ad ogni cosa-oggetto-animale.

Parleremo un giorno e ti insegnerò la vita,
l'indipendenza da corpi indegni della tua presenza.

Ombra sempre pronta nell'imitare
gesti, movimenti e fissità altrui.

Ti porterò dove il sole non può arrivare e ti libererò
come un bambino lascia volare in aria il suo palloncino.



wilsonW

martedì 2 giugno 2009

In Paradiso

Ce ne andremo a curiosare nelle chiese abbandonate
con le nostre felpe sbiadite
le mani piene di piccole bolle che stanno per scoppiare
e i piedi scalzi ci condurranno fino agli scogli.

Lontani dalle parate, lontani dai nidi del potere e dai cumuli di immondizia, resteremo in provincia a pregare che non piova.

Tu mi capirai senza aggiungere niente e io sorriderò per questo.

Ci stringeremo continuamente uno all'altro
cercando di mantenere l'equilibrio

e quando verrà la notte
bruceremo
i depliant elettorali per scaldarci.

Ti farò provare il mio tabacco
tu mi riempirai un bicchiere
col vino che ti avranno regalato anche questo natale.

Mi racconterai del tuo tempo
inventerai nuove bestemmie quando quelle vecchie
non renderanno in maniera adeguata i tuoi pensieri sulla vita.

Io non ti riprenderò perchè saremo già in paradiso
e lì nessuno sgrida nessuno;
al contrario, brinderò alla tua fantasia

e tutta la mia precedente miseria
diventerà felicità.

Cosi fu anche per te: ne sono certo e sorrido anche per questo.

lunedì 1 giugno 2009

#1 (Dio è nel silenzio)

Compare Terzo mi ha mandato un racconto, lo ha fatto usando la sua casella di posta elettronica con quel nome così FRAstagliato e GRAtificante. Lo pubblico, come gli avevo promesso. Faccio anche un'altra concessione che nutre una sua richiesta: "la rubrica è dio è nel silenzio. il titolo del racconto è #1. ciao a presto".

Tutto bene, tutto molto bene. A presto.
Buona lettura.


È stato un attimo, per quello che è sembrato ad occhi esterni, il suo volto carico di stupore e il giallore che iniziò a colorargli le gote. Lui fa il cameriere in un ristorante e durante la sua pausa, dove di solito accende e finisce una sigaretta, gli capitò di pensare. Di solito in una pausa dal lavoro uno fa di tutto tranne che pensare, può scherzare con i colleghi, in questo caso pizzaiolo o cuoco, può ragionare sul dolore ai piedi e immaginare che sia colpa delle scarpe. Invece quella sera lui pensò e basta.

Il mio nome è Terzo e quella che sto iniziando a raccontare è la storia di un mio amico. Il suo nome per il momento è meglio tacerlo, lo chiamerò lui, anzi Lui. Ci conosciamo già da tre anni, ma solamente al ristorante, nel senso che ci vediamo solo quando vado a mangiare in quel posto. Non abbiamo relazioni al di fuori di quel marciapiede dove ci incontriamo sempre per fumare una sigaretta insieme. Io da cliente lui da impiegato. Sembra che il caso, per questa circostanza, ci dia sempre una mano perché ogni volta che esco dalla porta d’ingresso con la sigaretta in bocca - giro un poco la testa a sinistra, Lui è già là appoggiato alla colonna che fuma. All’inizio della nostra pseudo amicizia mi raccontava delle cose che gli capitavano al lavoro ad esempio clienti molto strani, come quello che durante un sabato sera pieno di gente iniziò ad urlare che andava spenta la televisione, spaventando anche la moglie. Del tizio grasso che in una sola sera ruppe più di sei sedie. La costante era la totale mancanza di rispetto di una persona verso un’altra. Sembrava, a sentirlo parlare, uno che stando a contatto con la gente in una occasione così preziosa, come quella di nutrirsi, potesse arrivare a notare atteggiamenti intimi ed espressioni segrete. Ad esempio quello che mentre mangiava mugugnava, o la smorfia di sorriso che veniva fra le labbra di una signora quando addentava la mozzarella di bufala fresca intera senza tagliarla a bocconi. I suoi preferiti erano le famiglie, li adocchiava fin dall’ingresso e riusciva a capire di che pasta erano fatti. Mi raccontò di una famiglia composta da quattro elementi, il padre, la madre, figlio e figlia; facendoli accomodare si accorse che i due bambini stavano giocando con due videogame portatili e andarono a finire sul carrello dei piatti, tanto erano impegnati nei loro giochi. I genitori si scusarono con Lui senza rimproverare i bambini. Una volta accomodati i due coniugi iniziarono a spulciare i menù per decidere cosa mangiare, i bambini continuavano a fregarsene e restarono incollati allo schermo del gioco. Quando Lui andò al tavolo per prendere l’ordine il padre chiese ai suoi figli cosa desiderassero mangiare, ma quelli non lo ascoltarono nemmeno. Allora scelse per loro due pizze margherita e due coca cola. Nemmeno quando arrivò la pizza posarono i loro videogame, padre e madre tagliarono la pizza ad entrambi e li esortarono a mangiare. Quelli stizziti iniziarono a piangere e a urlare perchè non dovevano disturbarli mentre giocavano e si alzarono dal tavolo andando fuori, lasciando esterrefatto Lui che guardando i genitori vide sul loro volto una faccia di profondo dispiacere. Quando finì di raccontarmi questa storia, Lui mi pose una domanda che suonava più o meno così: che tipo di rapporto potrà andarsi a delineare fra figli e genitori se già in tenera età se ne fregano gli uni degli altri?

Quella sera andai a cena con tutta la squadra di calcetto, avevamo vinto il torneo e volevamo festeggiare, avevo pure parato il rigore della vittoria ed ero molto fiero di me. Non avevo fatto caso se Lui era in sala che lavorava e dopo la pizza uscii fuori per fumare una sigaretta. Mentre superavo la soglia della porta l’istinto e il pensiero vennero insieme, girai la testa verso sinistra come al solito per cercarlo e pensai che non l’avevo visto per tutta la durata del pasto. Guardai, comunque verso sinistra, alla colonna dove era solito appoggiarsi per allungare la schiena e non lo vidi. Girai intorno alla colonna per vedere se magari si era messo in modo da non essere visto, ma non c’era. Lo cercai dall’altro lato e trovai il cuoco seduto su uno scalino che fumava con la testa fra le ginocchia. Mi avvicinai per chiedergli dov’era Lui, se magari si era preso un giorno di ferie, volevo farmi un poco superbo raccontandogli la partita, anche essere preso in giro.

Allora gli domando:

- Ehi, Sandro … ma Lui non lavora oggi?

Sandro …

Sandro continuava a fumare in quella posizione e il fumo, nel salire su, gli copriva la testa di una nube densa bianca. Non si muoveva e non parlava, mi faceva innervosire. Allora con più convinzione e serio gli chiesi:

- Oh! Allora? Che hai fatto?

Alzò la testa mostrandomi il viso in lacrime che lasciava intendere però un ghigno strano, di rabbia o isteria. Mi guardò un poco, per capire chi aveva davanti e prese a parlare:

- Vuoi sentire una storia? Tu, Lui, lo conosci, sai com’è fatto vero? Tu pensi di sapere cosa gli passava per la testa vero? Beh, ci sbagliavamo. Tutti quelli che lo conoscevano e descrivevano un giovane forte, dinamico e divertente. Era si pensieroso e ogni tanto stava per i fatti suoi, ma tutti in fondo stiamo un po’ per i fatti nostri e ci allontaniamo dagli altri. A quanto pare i suoi pensieri erano per dirla semplice, complessi. Tu sapevi che pigliava psicofarmaci a causa di un esaurimento nervoso quando era all’università? Sai che è laureato in sociologia vero? No? Si, con una tesi da 110 e lode. Lavorava già qui quando scriveva la tesi, anzi ha voluto lavorare proprio per scrivere la tesi. Mi spiegò una volta che si trattava di prendere come oggetto di studio la sala del ristorante e la gente che mangiava e studiare il comportamento che si instaura tra cliente e cameriere, quindi fra due classi diverse e trovare tutti i casi buoni da approfondire. C’erano dei clienti che serviva sempre e solo lui. Comunque ieri è venuto a lavorare in scooter e per tutta la serata non era avvenuto niente, ma assolutamente niente. Tutto tranquillo come sempre e Lui uguale ad altre serate. Alla fine, quando erano rimasti solo cinque o sei tavoli di gente e noi stavamo mangiando Lui si alza improvvisamente, ci lascia a tavola e si dirige verso fuori. Così. Quando si alzò, per andare fuori, lo guardai di sfuggita e vidi il suo volto cambiare, sembrava stesse pensando a qualcosa di molto importante da fare o un pensiero che lo preoccupava. Torna e lo fa con una pistola nella mano destra, una faccia che non è più la sua. Abbiamo avuto paura e ci siamo ammucchiati contro il grande specchio della sala superiore. Lui si ferma davanti allo specchio dove eravamo stretti l’uno all’altra, ci guarda e poi per un attimo i suoi occhi svaniscono lasciando solo un fosco nero occhio vuoto. Sembra allargare un sorriso, alza il braccio della pistola e porta questa alla testa. Dice solo una parola: Grazie ... E spara.

È stato un attimo, per quello che è sembrato ad occhi esterni, il suo volto carico di stupore e il giallore che iniziò a colorargli le gote.


Terzo