Ogni 25 Aprile commemoriamo la fine di una guerra che ha devastato il nostro paese. Nel bene e nel male, nulla è stato più come prima. Tuttavia, sessantasette anni dopo, si avverte ancora la necessità di ridisegnare il confine della storia: vincitori, vinti, rossi, neri; tutto si mescola e si confonde.
La lezione è difficile da imparare, e difatti non l'abbiamo ancora imparata. Eppure è scritta con parole chiare, ha titoli significativi, si dispiega e si spiega da sè.
Forse, semplicemente, basterebbe riflettere sulla contingenza di quella guerra e sul suo nucleo originario di fattualità. Certo, adesso sappiamo che le parti erano disposte sul campo, c'erano invasori ed invasi: da questo punto di vista, possiamo oggi dire che ci sono stati colpevoli ed innocenti. Ma questo moralismo "alla luce del sole" era impossibile per chi viveva al buio.
Nella coesistenza degli uomini, non c'è valore che valga di più della libertà. E se per riconquistarla alcuni uomini hanno dovuto uccidere altri uomini, significa che ciò su cui dobbiamo riflettere è il semplice e puro fatto che qualcosa è successo, che c'è stata la guerra.
Luca
C'È STATA LA GUERRA (estratto)
di Maurice Merleau-Ponty
filosofo francese
Avevamo segretamente risolto di ignorare la violenza e la sventura come elementi della storia, perché vivevamo in un paese troppo felice e troppo debole per considerarle. Ci avevano insegnato che le guerre nascono da malintesi che possono essere dissipati e da casi che possono essere scongiurati a forza di pazienza e coraggio. [...] Sapevamo che esistevano campi di concentramento, che ebrei erano perseguitati, ma tali certezze appartenevano all'universo del pensiero. Non vivevamo ancora in presenza della crudeltà e della morte, non eravamo mai stati messi nell'alternativa di subirle o affrontarle.
Nessuna servitù è più evidente di quella di un paese occupato. Anche quelli che tra noi non erano importunati e continuavano a scrivere, dipingere o comporre poemi, sentivano, ritornando al lavoro, che la libertà di prima era fondata su quella degli altri e che non si era liberi da soli. Se avevano un tempo potuto sentirsi allegri e padroni della loro vita, era anche questo un modo della coesistenza, reso possibile solo da una certa atmosfera, e imparavano a conoscere tra ogni coscienza e tutte le altre quell'ambito generale in cui comunicano e che non aveva altro nome.
Non avevamo capito che ciascuno di noi nella coesistenza si presenta agli altri su uno sfondo di storicità che non ha scelto, si comporta nei loro confronti in qualità di ariano, di ebreo, di francese, di tedesco; non avevamo capito che le coscienze hanno lo strano potere di alienarsi e si assentarsi a se medesime, che sono minacciate dal di fuori e tentate dal di dentro da odi assurdi e inconcepibili allo sguardo di un individuo, e che, se un giorno gli uomini dovranno essere gli uni per gli altri e i rapporti tra coscienze divenire trasparenti, se l'universalità deve realizzarsi, sarà in una società in cui i traumatismi del passato saranno stati liquidati e in cui anzitutto le condizioni d'una libertà effettiva saranno state realizzate. Nel frattempo, la vita sociale resterà questo dialogo e questa battaglia di fantasmi in cui si vedono scorrere vere lacrime e vero sangue.
Orbene, in quella battaglia non ci era più consentito restare neutrali. Per la prima volta, eravamo indotti non solo a constatare ma anche ad assumere la vita sociale. Ci siamo resi conto che ci toccava giudicare. Siamo stati portati ad assumere e a considerare come nostre non solo le intenzioni e il senso che i nostri atti hanno per noi, ma anche le conseguenze esterne di tali atti, e il senso che assumono in un certo contesto storico.
La verità è che ciascuno di noi si è adattato a stabilire un compromesso con la necessità esterna, tranne pochi che hanno dato la vita. Bisognava o cessare di vivere, rifiutare quell'area corrotta, quel pane avvelenato, oppure vivere, cioè ritagliarsi nella sventura comune un cantuccio di libertà privata, ed è quanto hanno fatto i più, limitandosi, per tranquillizzare la propria coscienza, a sacrifici misurati. Ciò non scagiona i traditori, che hanno richiesto il regime, l'hanno aiutato più del necessario e si sono designati da soli alle sanzioni della nuova legge; ma ci impedisce di giudicarli in nome di una morale che nessuno ha seguito fino in fondo. Solo gli eroi sono davvero stati al di fuori di quel che volevano essere nell'intimo, solo loro si sono uniti e si sono confusi alla storia nel momento in cui la storia li privava della vita. L'eroismo non si predica, si compie, ed ogni predicazione sarebbe qui presunzione, poiché chi può ancora parlare non sa di che cosa parla.
È vero che non siamo innocenti e che, nella situazione in cui eravamo, non esisteva condotta irreprensibile. Non ci sono due storie, quella vera e quella empirica, ce n'è una sola, e tutto quello che succede ne fa parte.
Sicuramente questi anni non ci hanno insegnato a considerare cattivo quel che giudicavamo buono. La guerra e l'occupazione ci hanno insegnato a considerare che i valori restano nominali, e non valgono neppure, senza un'infrastuttura economica e politica che li faccia entrare nell'esistenza, anzi ancora: che i valori si riducono, nella storia concreta, ad un'altra maniera di designare le relazioni tra gli uomini così come si stabiliscono secondo il modo loro proprio di lavorare, amare, sperare e insomma coesistere. Non avremo nessuna verità da nascondere se diciamo tutte le altre. Nella coesistenza degli uomini, alla quale questi anni ci hanno risvegliato, le morali, le dottrine, i pensieri ed i costumi, le leggi, i lavori, le parole s'esprimono a vicenda, tutto significa tutto. Non c'è nulla al di fuori di quest'ultima folgorazione dell'esistenza.
INDICAZIONI STRADALI SPARSE PER TERRA (estratto)
di Nedzad Maksumic
poeta bosniaco
In guerra nessuno è matto. O almeno ciò non si può asserire nei confronti di nessuno. Molti di quelli che erano matti prima della guerra, in guerra si mettono in mostra molto bene. Come combattenti coraggiosi, convinti delle idee dei loro capi.
In guerra nessuno è intelligente. Non devi credere alla verità di nessuno. Le lunghe disquisizioni sull’insensatezza della guerra del professore di una volta, in un batter d’occhio si trasformano in un selvaggio grido di guerra, appena egli viene a conoscenza del fatto che il suo bambino gli è morto per la strada.
Non ricordarti di nulla. Prova a dormire senza sonno. Devi ornarti di amuleti e abbi fede nel fatto che ti aiuteranno. Abbi fede in qualsiasi segno. Ascolta attentamente il tuo ventre. Agisci secondo le tue sensazioni. Se pensi che non bisogna camminare per quella strada, allora vai per un’altra.
Non avere paura di niente. La paura genera nuova paura. Ti blocca. Devi credere fermamente di essere stato prescelto a restare vivo.
Non lasciare lavori compiuti a metà. Salda i debiti. Devi essere pulito. Non fare nuove amicizie. Già con quelle vecchie avrai abbastanza preoccupazioni.
Proteggi i ricordi, le fotografie, le prove scritte del fatto che sei esistito. Se tutto brucia, se perdi tutto, se ti prendono tutto... dovrai dimostrare anche a te stesso che una volta eri. Ammassa tutto nei sacchi di plastica, seppellisci nella terra, mura nelle pareti, nascondi, e solo ai tuoi più cari svela la mappa per raggiungere il tesoro.
Non ti legare alle cose, alla terra, ai muri, alle case, ai gioielli, alle automobili, agli oggetti d’arte, alle biblioteche. Trasforma in denaro tutto ciò che ha ancora un prezzo. E tuttavia, non legarti in alcun modo al denaro. Appena puoi, scambialo con la tua libertà.
mercoledì 25 aprile 2012
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