martedì 8 dicembre 2009

Come un amore

Quando il tempo ti donerà la distanza che meriti da lui
Avrai una nuova laurea e i tuoi soldi
Per comprare le cose che ti servono

Maschererai il cinismo dietro vestiti colorati
Inizierai a leggere i quotidiani
E ucciderai la malizia delle tue intuizioni


Tornerai a fumare Merit e ad andare al teatro

Scoprirai che bastare a sè è una pratica dolorosa
Che rimesta i confini della propria sensibilità

"Sei bella" ti ripeteva lui
"Tu di più" gli rispondevi


Quando la notte ti morderà le viscere
Con l'incombenza della progettualità
E quei maledetti pensieri di ulteriorità
Prolungherai la tua pigrizia di cento metri quadri
Sveglierai tua madre che ti aiuterà a curare le piante nel buio
Ma non ti accorgerai di tutte le radici secche
Che lei estirperà imprecando


Tornerai a bere la trappista e a collezionare orologi
Scoprirai che bastare a sè è una pratica necessaria
Che raccoglie in unico raggio le mille voci della nostalgia

"Sei bella" ti diceva
"Come te" rispondevi


Ora che il tempo ti ha donato la giusta distanza da lui

Mostri con orgoglio le tue ferite
E sai sorridere come quando eri bambina


Senza di lui saresti stata un'altra

giovedì 19 novembre 2009

Trittico della miseria + "Sopportate la mia miseria"

Con molto piacere ho ricevuto ieri queste tre opere dall'amica Daniela. Tempo fa le avevo proposto di pubblicare qualcosa, di partecipare attivamente al blog anche solo con dei commenti (proposta che ho rivolto a molte persone e che resta viva in ogni momento; chiunque avesse qualcosa da dire è benvenuto dentro la Tana). Finalmente ha deciso di esporre qui qualche suo lavoro e le sono grato per questo. Lascio a voi ogni giudizio, mentre io mi limiterò a trascrivere le parole che il trittico mi ha rubato.



FACILMENTE INFIAMMABILE!
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Daniela Di Lullo



DI TUTTO CONOSCIAMO IL PREZZO DI NIENTE IL VALORE!
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Daniela Di Lullo



JEWELLER-EAT
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Daniela Di Lullo



Disperato tra i rintocchi del mercato
Sono cieco di fronte alla combustione delle mie cifre
La tecnologia ci azzera
Fatemi fuggire
Fatemi evitare i colori del cibo
Aiutatemi a comprendere il fascino dell'azzardo
Sopportate la mia miseria come io sopporto quella altrui





lunedì 9 novembre 2009

Luna beffarda e ostile

"Un sogno, non è mai soltanto un sogno", amava ripetere Stanley Kubrick. Ecco perchè mi piace il breve racconto inviatomi da Gabriele. E' come un sogno e non lo è; esprime sentimenti reali e disegna situazioni fantastiche. Squaderna molteplici dimensioni e le dispone tra ottimismo e frustrazione, tra amore ed odio.
Vi auguro buona lettura.


Di certo a tutti voi sarà capitato di avere quella sensazione di cadere nel vuoto quando si è sul punto di addormentarsi e di sobbalzare con un sussulto. Ecco l'altra sera mi capitò di non sentire quel brivido e caddi nel vuoto.

Non ricordo per quanto tempo ma è stato molto lungo il mio viaggio. Attraversai diversi tipi di realtà e e ne sono consapevole soltanto adesso che sono sveglio.

Fu un atterraggio piacevole e rassicurante. Presi coscienza e mi ritrovai naufrago, nuotavo tranquillo nel mio mare, quello della mia amata terra; mi sentivo bene e pieno di forze e il contatto dell'acqua al mio petto era come un abbraccio materno, tanto che fu spontaneo fermare le mie braccia e lasciarmi cadere un'altra volta, in posizione fetale come se stessi nel grembo del mare.

Caddì e mi lasciai cullare dalla corrente. Al mio risveglio ero in un campo arido, simile a quelli che ci sono nella mia odiata terra. Come per istinto, cominciai a seminare in quella terra avara, speranzoso che lì potessero germogliare dei nuovi sentimenti, nuove illusioni.

Non ricordo nient'altro di questa avventura dentro la mia anima.

Nei giorni a seguire, da persona desta, finsi che dentro me il vento spingesse con se il calore del sole e riscaldasse la mia semina mentre la pioggia delle mie nostalgie l'annaffiasse.

Ma un sole polare non scalda e una pioggia acida corrode. E' per questo che da quella semina, nascono ogni giorno meccaniche monotonie, noie perennemente viscide, allegrie effimere, gioie astratte, e si allattano sbalzi d'umore.

E' una luna beffarda e ostile. Ma ci saranno giorni migliori.


domenica 1 novembre 2009

#4 (Dio è nel silenzio) - Il Rigattiere

Terzo e i suoi trambusti, piacevole ritorno. Doveva venire a trovarmi e portarmi il racconto personalmente ma non ha potuto perchè "è un raccontino breve, che finisce male perchè non finisce".

Forse però non finirà mai e chissà da quanto è così. O forse siamo noi che non ne vedremo mai la fine.
Questo è Il Rigattiere, buona lettura.

Giriamo l’angolo della farmacia ed eccoci davanti al portone di casa, bel portone in legno decorato con intarsi arabeschi, Aldo si gira e mi dice: “il mio loft è al terzo piano”. Beh, più che loft io lo chiamerei monolocale, o meglio ancora garage, magazzino forse; è una stanza enorme senza pareti quella che m’annuncia come casa sua. M’invita ad entrare e posare la giacca sopra la poltrona indicandomi un mucchio alto circa due metri di giacche e cappotti. Dando un’occhiata alla casa mi accorgo che è davvero un magazzino pieno di cianfrusaglie varie, c’è addirittura un vecchio sidecar della seconda guerra mondiale “bello eh? Quello l’ho preso quasi trent’anni fa da un gruppo di zingari che passavano di qui e pensa … quando l’ho preso camminava ancora! Adesso lo uso come sopramobile.”

Non m’interesso più di quel cimelio e vado verso il tavolo vicino ai fornelli della cucina dove Aldo sta facendo il caffè. Da una credenza piglia un barattolo di ceramica di quelli con la chiusura di metallo, da un altro sportello poi, tira fuori la caffettiera e con mio grande stupore m’accorgo che è il modello napoletano, sapete quella che si gira una volta che l’acqua bolle. Tiro fuori il tabacco e inizio a farmi una sigaretta e per rompere il ghiaccio inizio a parlargli di me, di cosa faccio per vivere, quello che studio, i miei interessi. Lui ascolta mentre prepara il caffè e appena finisce si gira, si siede e mi dice che non si può fumare.

Poso la sigaretta facendo un sorriso e chiedo in silenzio se può fare uno strappo alla regola; Aldo sembra capirmi e con la testa mi ripete il no: “ho smesso di fumare quindici anni fa, secondo te ti faccio fumare qui? Si quindici, ma non è dura come pensa la maggior parte della gente. Un giorno ti annoi e smetti di fumare, c’è chi non si annoia e continua.” Inizia a raccontare di quando negli anni settanta era in facoltà, era giovane e i fermenti di quegli anni non si scordano più “eravamo belli, giovani e sentivamo che potevamo cambiare davvero qualcosa. Col senno di poi ti posso dire che abbiamo avuto paura nel momento migliore, ma poi la gente ha chiuso gli occhi, altri sono stati convinti o sono stati presi in giro dal sindacato e alcuni si sono impiegati nei servizi segreti. I molti sono diventatati dirigenti, in molti sono morti, che poi è la stessa cosa, io e la mia donna siamo andati in America Latina a farci una vacanza.” Mi dice delle difficoltà di quel viaggio: non potendosi permettere un biglietto aereo sono partiti in nave, lui ha anche lavorato da cameriere a bordo per pagare una parte di biglietto. Arrivati dall’altra parte del mondo hanno iniziato a lavorare di pollice “come dici tu quando fai l’autostop? Siamo arrivati fino a Capo Horn con i passaggi. Senza soldi ci siamo divertiti, abbiamo conosciuto molta bella gente, di quella paesana, quella ai margini delle grandi strade. Villaggi stupendi e cibo buono, molta pioggia e cieli immensi, cieli enormi che t’inghiottono, di quelli nuvolosi densi, a pecorelle, nuvole sfilacciate come cotone sulla testa da farti venire il torcicollo. E distese di niente, fin dove arriva l’occhio c’è il nulla, per due giorni siamo rimasti soli su una strada non passava una macchina, non un camion che ci accompagnasse un poco più in là. Quando siamo rientrati in Italia la situazione era completamente cambiata. Erano gli anni ottanta, ci siamo accorti di aver viaggiato per quasi dieci anni e non riconoscevamo niente della nostra città, era tutto diverso; sembravamo stranieri in casa. Gli amici erano cambiati, adesso avevano una famiglia e al posto dei jeans avevano pantaloni e giacche. Non tanto per i vestiti che non hanno un valore in sè, ma per quanto riguarda il loro modo di pensare. Li ricordavo ribelli e non borghesi, adesso invece erano ingabbiati nei loro concetti e preconcetti, si erano scordati tutto lasciando il posto a cose come il capo ufficio, la macchina più larga visto che è in arrivo un bimbo, la domenica allo stadio dove si può essere se stessi.”

Quest’uomo di quasi sessant’anni mi racconta del passato, più di vent’anni fa, e io rivedo l’attualità. E mentre glielo dico Aldo fa un amaro sorriso “una volta qui, dopo l’America, mi sono dovuto adattare anch’io. Non sapevo come però, ci sono stati momenti difficili e non volevo finire dentro un ufficio, avevo ancora l’odore di quei cieli nel naso e di finire dentro quattro mura asettiche non era la mia aspirazione. La mia compagna, lei come tutte le donne, ha fatto meno fatica a riadattarsi e alla fine dopo una serie di liti e pianti ci siamo separati. Ora so che è felice e ha avuto tre figli con suo marito. Pensa … quando stavamo insieme odiava il matrimonio! Non cambiare mai idea non sempre è coerenza, cambiarla spesso non sempre è segno di adattabilità. Ci vuole una misura; e un giorno ho conosciuto un croato che faceva il rigattiere.”



Terzo

venerdì 30 ottobre 2009

Tu ed io

Dove finiscono i tuoi baci adesso?
Quanto possono allungarsi le mie dita?

Schiudiamo fidatezza e calpestiamo le pretese evanescenti.
Tracciamo percorsi impervi senza cedere all'abbandono.
Siamo indomabili maratoneti sugli altopiani della passione
e la pressione non ci fa mai spavento.

Tra voglie barricate e contatti virtuali,
resistiamo in primo piano sullo sfondo di una dolorosa convergenza tra democrazia dello svuotamento e dittatura del nulla.

Siamo il domani che non sarà domani
ma alleviamo con dignità il nostro sogno di un grembo in fiore.

Ogni giorno tu ed io.

lunedì 26 ottobre 2009

Cittadino Italiano

Pigiama rigato rossoazzurro, altro che tessera elettorale!

Per intima protesta avevo deciso di non lavare neanche i denti ieri chè meritavo un alito da fine dell'universo. Sarebbe stata la pena piu equilibrata da infliggere a quella parte di me che ogni tanto pensa che ci possa essere ancora un partito da ascoltare con interesse.

Vi rassicuro subito: i denti li ho lavati appena alzato, ancor prima del primo caffè di giornata. Il sapore del caffè deve rimanere sul palato più a lungo possibile; è uno scempio troncarlo con quello prorompente del dentifricio. Ho lavato i denti perchè dopo tutto non meritavo una tale condanna.
Che ho mai fatto di male? Solo ogni tanto ho cercato di cogliere nelle parole dei dirigenti democratici (strictu sensu o latu sensu, fate voi) qualche idea nuova e - posso usare questa parola? speriamo non si incazzi nessuno...- rivoluzionaria.
Ho letto le mozioni, ho visto decine di stomachevoli tribune elettorali e in passato, in preda a raptus di autolesionismo mediatico, ho inghiottito intere puntate di Porta a Porta (mio dio, tutti quei nei e quei din-don!). Amici miei, io sono riuscito a trarne fuori il nulla: stava seduto su quei divanetti solitamente di pessimo gusto.

Chi trova il nulla trova un tesoro, mi sono detto. Ma il mio tesoro è formato tessera, ci sta scritto il mio nome sopra e una firma mia che non ho fatto io. PD bianco, rosso, verde. Cinque foglie e cinquemila maledizioni a chi ha rapito il mio diritto di scelta. Un Biondo mi ha tesserato e non ho potuto dire no: non ha chiesto il mio parere.
Eppure il problema probabilmente non è tanto il tesseramento occulto quanto il fatto che nessuno riesce a farmi sognare. E non è colpa mia se sono un cittadino esigente.

Nessuna rivoluzione. Tre milioni di elettori esigono rispetto, per carità. A me non resta che aspettare altre insospettabili stagioni di speranzoso amore.


P.S. Qualcuno si domanderà cosa non mi ha convinto delle tre mozioni (Bersani, Franceschini, Marino).Preferisco dare un giudizo stilistico più che contenutistico (le mozioni sono facilmenti reperibili online, chi vuole leggerle se le cerchi). Ognuna di esse ha il gusto di slavato senso comune. Tutte affrontano i temi che un vero partito dovrebbe affrontare (lavoro, sanità,istruzione, giustizia) affidandosi alla più leggera e autoreferenziale comunicazione politica (tranne quella di Marino in alcuni casi). Quando si finisce di leggerle si è molto più confusi di prima e si ha una volta di più l'impressione che chi dice tutto dice niente (ecco perchè ho postato il video di Guzzanti/Rutelli: vorrebbe dire tutto e invece...). Nessuna soluzione, nessuna idea riformatrice; solo parole, parole stomach aiming, parole mindless.





lunedì 5 ottobre 2009

Tre Ottobre Duemilanove


"Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso d’asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso d’angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso d’angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica." (Piero Calamandrei)



Per essere chiari: si difende qualcosa che già si possiede e che tuttavia si vede in pericolo. Altrimenti non parleremmo di difesa ma di conquista o riconquista.Tutto ciò sembra ovvio, ma in questi giorni ho capito che molti ignorano il senso dell'espressione "difesa della libertà".

domenica 27 settembre 2009

Girandomi Attorno Brucerò Rare Inerzie Elevando Leggiadre Elettricità



La precarietà coltivata nelle stanze dei numerosi appartamenti presi in affitto. Poi quando viene il tempo della raccolta, il dire maturo sovrasta l'inutilità del fare. Ci si trasforma in un enorme occhio che gode del vedere le cose del mondo e del suo oziare, conficcato all'interno della calda cavità oculare. Ho sempre amato l'inoperosità, la genuina falsità dell'ozio.
Nell'onirico racconto che segue Gabriele celebra il suo inattivismo, elogia l'ozio che ogni giorno gli toglie via un pò del sapore della fabbrica e gli strappa via la divisa da operaio. Lo ringrazio per avermi inviato il suo racconto, vi auguro buona lettura.

"Nell'ozio, nei sogni, la verità sommersa viene qualche volta a galla." (Virginia Woolf).


Giravo nel ventre infuocato del mio appartamento con fare perplesso e come in preda al panico.

Quando ciò diventò routine mi abbandonai all'oziosità di quella situazione. Fu allora che avvenne la mia metamorfosi e, nell'abisso dei miei sogni, riuscii a vedere me stesso seduto sul mio letto.
"Deve essere il peggio di me" pensai, perchè non ero proprio un bello spettacolo: occhi rossi come il fuoco, sei zampe al posto delle braccia, sulla bocca una smorfia simile ad un ghigno trattenuto.
Mi guardai commiserevolmente e mi voltai le spalle.

Giro nel ventre infuocato del mio appartamento
con fare perplesso e come in preda al panico.

Niente pare darmi sollievo, ma ad un tratto a distrarmi è un lamento.
Lo inseguo ascoltando meglio e lo ritrovo lì dove l'avevo lasciato: seduto sul mio letto continua a gurdarmi in un ironica fissità. Il mio sguardo mi svuota e mi rende inerme. Muoio per un istante come se una forza mi spingesse verso il basso, ma prima di essere schiacciato da essa...

"NON SOGNI! SEI SVEGLIO!
DESISTERE E' BENE OGGI...RILASSATI ADESSO!
DESISTERE E' BENE OGGI...RILASSATI ADESSO!
LIMITATI A GUARDARE...NON PARTECIPARE!"

Comincio a sudare e sono come ipnotizzato dal mio sguardo vuoto, la mia bocca digrignita non sputa un suono e non riesco a ribellarmi a ciò. Vedo un bottiglia di Ron, butto giù un sorso e perdo i sensi.

Al mio risveglio mi ritrovo coperto di terriccio umido e puzzolente.
Senza dire una parola il mio gemello sconosciuto prende ad annaffiarmi partendo dai piedi.

E il mio Corpo ora fa scintille.



Gabriele

martedì 22 settembre 2009

Amore caustico (oltraggio alla crisi)

Si riparte dai flutti sconnessi della memoria, dai fotogrammi peggiori della mia precedente esperienza bolognese. Sapevo già della fallibilità del coraggio, ma ho voluto andare oltre: per fortuna le mie prospettive di vita hanno affondato il replay tra brividi e silenzio. Durante il viaggio e nel suo epilogo ho avuto il sostegno della musica di Robert Wyatt, del ronzio di parole di chi mi ama e crede in me, infine quello di una breve poesia che oltraggia la crisi preferendole un amore che brucia. B.B.B (Brucia Bologna Burn) è il mio personalissimo sottotitolo a questa poesia di Franco che ringrazio per l'ottimismo donatomi.
Un abbraccio, a presto. Luca.




Al di là delle porte del tempio
un focolare e un segreto
custoditi da una sacerdotessa.

Ecco il nostro impero
i cui confini
sono i perimetri dei nostri cuori.

Nel caos di quest'epoca
la sincronia del nostro battito cardiaco
difenderà col sangue e con la spada il nostro amore.

Verrà l'inverno e dal nucleo di una stella
o da quello di una pietra
un'energia proteggerà il passaggio dei nostri giorni.


Franco

mercoledì 2 settembre 2009

Parlando della mia energia

E' venuto così un ricordo di te, portatore di qualcosa che non si sa.
Cuce nella mia testa tentazioni apologetiche, respinge le giustificazioni che genero in tensione.
Sicuro che si può ridere della vita, di quasi tutto ciò che essa propina senza chiedere se sia permesso farlo; ma troviamo insieme un posto alla tremenda noia da condividere felicemente.

Viene il ricordo di te e mi trascina ancora oggi nella bufera cardiaca.
Subisco nuovamente questo scacco prima della partenza.
Resto solo ad annaffiare le tue duecentottantasei piante, leggo Andrea Pazienza prima di dormire nella speranza di sognare. Continua a consolarmi la scomposizione ragionata dei miei modi d'essere, il cui denominatore comune è l'arte mimetica: sto solo inventando, creo ciò che non ha nessun presupposto per attuarsi senza mediazioni e mi riesce bene perchè il mio modello è ciò che è possibile.

Dicono i nonni che ai tempi del digiuno dire no è pace, dire sì è guerra: adesso il mio stomaco pieno mi suggerisce che dal saper dire si o no dipendono la gioia e la discordia.
E se tutta l'intimità che ho tradito con queste parole non bastasse a farvi capire come sono fatto, aggiungo un ultimo dettaglio: ogni rinuncia riduce la rosa delle possibili scelte: io vivo di buoni propositi, sorvolo sull'impegno sociale, mi arrangio con quel che mi basta e mi basta non essere cadavere.

sabato 8 agosto 2009

Chi può cambiare cosa può cambiare come cambierà.

Esalto l'attenzione per le piccole cose,
lecco il tempo che vivifica, so della morte che parifica.
Sbalzo ferito mentre annaffio il giudizio critico
che definisce la struttura di tutto ciò che ci accade.


A volte lamento ogni luogo, maledico la mia codardia:
sono così intransigente da salvare solo i cuori incerottati.

Forse con eccessiva fretta limito il mio canto ad un solo ritornello:
cure circolari, cure senza buchi, credenze orfane di speranze
macchie da profondo sud in un'apoteosi di luridume e convenienza.

Da anni vengo controllato come un assassino:
per quel che mi riguarda spargo tracce, spermi e cavilli
poi confido nella fretta che viene, nella recisione dei peccati che va.

Eppure, come dei frutti divisi a metà di cui è facile contare i semi,
so che degli uomini è possibile disegnare lo scheletro e spremere l'anima.

Chi può cambiare cosa può cambiare come cambierà:
ere come elastici, incognite da riempire, angeli sapienti da cui imparare a vivere.

lunedì 27 luglio 2009

una preghiera adulta



Il cibo a dadini mi sembra naif
invidio la stanza degli ospiti che mamma cura più della mia
odio il rumore dei tir sotto casa
prendo volentieri un vino spigoloso
pago sempre in contanti se li ho
credo in un solo Dio onnipotente
mi lavo bene le mani la domenica
rubo pasticcini di nascosto
vomito sangue dal naso e mi asciugo coi nuovi tergicristalli
esco in divisa
entro solo in compagnia
fotto godo e detesto chiedermi "perchè?"
ignoro le cause di molte cose ma ricordo bene le date
mi esprimo così
suono solo la mia campana ed è già tanto
datemi un minuto e divento presidente
lavoro con furbizia
vi uccido quando ho voglia
facciamo che disfaccio

sabato 18 luglio 2009

35 minuti

Alle 3 di notte commenta per la prima volta un post su questo blog. E' mio fratello e viene investito dall'entusiasmo, ci prende gusto: così altri cinque commenti protraggono il suo dire e il suo fare fino alle 3 e 35.

Oggi li ho letti: la scrittura è molto coinvolgente, ogni idea affiora come entità liscia e intaccabile. Mi è sembrata una violenza lasciarle racchiuse nella sezione "commenti", fondamentalmente perchè non sono commenti ma composizioni che chiedono di essere commentate.

Ho deciso di pubblicarle perchè nutro la speranza che qualche lettore si faccia avanti e provi a soddisfare questa loro esigenza vitale. Buona lettura.



SCINTILLE

Faccio scintille a non finire,
del resto anche la luna oggi fa scintille.
Vomito ferro, penso di ferro.
Sono una miccia e brucio ossigeno.
Ho un bruco nello stomaco che tossisce di ferro.
Sono una minaccia che fa scintille.
Un sollievo di pongo. una pila che fa scintille.
"i denti sull'asfalto fanno scintille?"
Basterà, penso, pensare di ferro facendo scintille.
18 luglio 2009 3.00



L'illogicità #1

Era solo la bellezza del vuoto.
esperienza.
Così ho guadagnato centimetri dal vuoto.
Ma se sto tutto il giorno in aria
prima o poi collasserò
Ma se penzolo tutto il giorno dalle tue labbra
Scapperò per 12 ore su un Concorde.
18 luglio 2009 3.03



Esigenza

Mordere gli occhi con le palpebre
"scusa, ma cosa vuoi?"
solo esistenza.
La tensione è esprimersi correttamente
con il cervello che canta.
Affogare solo toccando il fondo.
Perchè non sono un uomo della ragione
se la ragione è REAGIRE, DISTRUGGERE,COMBATTERE
il "concetto della ventosa", la moltiplicazione
il peso di un elettrone
tutto già
scontato, consultato, conosciuto.
18 luglio 2009 3.09



ultimo commento di questa notte

i miei vuoti
risiedono nelle case
dove ci sono ancora le anatre
e i pozzi d'acqua

e i reticoli che ci fanno respirare
me e i miei vermi
"l'ultimo ricordo di me pallido?"
non ricordo.

So che vedo quadrato
e vedo quadrata la notte
e i suoi chiodi
i suoi moti circolari
e le sue antenne

Ma tanto un giorno saremo tutti soldati
custodi dei nostri capelli
padroni delle nostre piattole
e dei nostri sette cervelli.

Avremo luce abbastanza, adesso
per illuminare i nostri sudari
e luce abbastnza per nascorderci per sempre
in mezzo ai piatti sporchi
forse da lavare
e da pulire
e con essi le mani e la coscienza

e se non avessimo giocato
a fare gli sporchi
con il fango nelle ossa
e il rumore nelle tempie
saremmo sterili di vanità

di sempre
ricordo poco o niente

o forse non ho avuto il tempo
per stringere i denti
e cerare di ricordare
i miei vuoti
nascosti dalla luce del sole.
18 luglio 2009 3.20



La meccanica di una lunga vita

La meccanica di una lunga vita
senza mordente
sono questi fottuti tubi
in cui ci hanno rinchiuso
pichè abbiamo capito
di avere una libertà
come un prodotto confezionato.
18 luglio 2009 3.25



SEMBIANZE

La notte incombe
incombe il sonno, celando silenzio
Cerca mia madre,
col cuore e con la mente, riposo.
Ed il suo viso, con il suo sguardo profondo
prende pian piano vigore.
18 luglio 2009 3.35



Marco "Bonzo" Cammareri

domenica 12 luglio 2009

Il dire, il fare.

Le strade si intrecciano cedute al brulicare, si saluta anche chi non si conosce e, lontana, la nebbia viene ad annunciare nuovo calore. Se alle porte della città scorgete due amanti che si fissano sovrapponendo i loro sorrisi, allora siete arrivati alla meta.

Questo è dire, altro è fare.

Seguo le mie necessità, padroneggio il mio capire. E' difficile seguire lo sproloquio ubriaco di un orfano animale: ha troppe responsabilità da reggere, troppe sovrapposizioni nell'esporre i suoi problemi. Da ieri, per oggi, fino a domani.

Questo non è fare, ma è già più che dire.

"Hai un diamante da prestarmi?"
"Ho solo venti sogni...tieni".
Consumo. Ricavo.
Prevedo un rialzo proficuo, godrei di un abbattimento del costo.
Seduti in finanziaria, aspettando il nostro turno ci siamo addormentati.

Questo è fare e non c'è nulla di meglio da dire.

lunedì 6 luglio 2009

Deglutire (breve dialogo dell'ingestione)

"Franco, conosciamo noi stessi!" esclamai nel silenzio. "E tutti gli esseri si dissolvono..." aggiunsi, pronunciando con la tonalità anonima con cui si pronunciano le pure constatazioni.

Lui sembrò non stupirsi affato della mia improvvisa uscita: avevo appena rotto un silenzio che sembrava durare da giorni con concise affermazioni vibranti di emotività. Tutto ciò appariva privo di senso ad occhio esterno; lui invece masticò bene ed iniziò a deglutire:

"
Si dissolvono gli esseri e allora? Io, Franco come sono, sono in grado ergermi ad invasore di me stesso. Saboto il mio battito cardiaco per far emergere la mia asfissia. cardiaca. Il mio cuore è in panico e affiora dalle sue riflessioni l ’urgenza all’emigrazione dal mio corpo. I rumori che fanno da sottofondo creano un fitto reticolato di foglie d’amianto e tutt’intorno l’alta corrente fa di quel posto una roccaforte del potere. Sentinelle graziose come neuroni rallegrano con focolari le residue immondizie di bottiglie ancora preservate da coloro che contano, innescando così una guerra viziosa tra il Presente e il Passato. Solo colui che giudica può in effetti rendersi assolto. L’umore Primo da cui assolvere i propri peccati è quello dell’alba, dove ogni cosa fatta è inutile al rimpianto. Quella luce intensa vanifica ogni lacrima dal suo degno scendere sulle gote di una figura umana. Noi, caro, siamo Gesuiti muniti di cannocchiale rimasti indietro. Galileo almeno scorgeva dal suo, stelle e costellazioni…in un qual modo immaginava. Noi siamo stati azzerati nelle idee. L’oro delle nostre relazioni s’è vanificato in nome del tintinnio argenteo. La scintilla zingara rimane solo nei nostri accendini, i quali infiammano le nostre solitudini. Ci dissolvono gli Esseri e allora?... io Franco rimango a Frastagliare di geografie fittizie le mie innumerevoli coste, che come vie lattee dissolvono le mie incertezze in paure. Una scia di Presente resta incagliata tra le mie gambe che, percorrendo il loro solito movimento, inceppando in rauchi compromessi d’ossa, restano febbrilmente in equilibrio stabile. Solo un cardiaco suono in grado di rappresentare fiducia e ossessione assieme risulterà vincente nel gioco delle oppressioni s.p.a. Il mio afflato romantico nulla potrà al possente Colosseo (immagine rapita agli effetti del Tempo, da tradurre eventualmente in Processioni Oranti.). Mi dissolveranno gli ESSERI e allora?... io Franco mi batterò nelle battaglie dello Spazio."


Lo ascoltai con devozione e non risposi nulla, come per dire che avevo apprezzato.



giovedì 25 giugno 2009

Terzo di Terzo (Dio è nel silenzio)

Il terzo scatto di Terzo è la chiave di volta della rubrica Dio è nel silenzio.
Ne abbiamo parlato insieme ed entrambi eravamo d'accordo che fosse arrivato il momento di chiarificare il concetto su cui si è costruita la rubrica.

Nell'introdurre il #2, avevo detto che noi siamo ciò che siamo; questa, tuttavia, non è che una conseguenza del fatto che Dio si conclami essere supremo (l'Essere) dicendo a Mose: "Ego sum qui sum" ("Io sono colui che sono").
Dio è l'Io sono, Noi siamo il Noi siamo. E ne parliamo volentieri.

Qualche giorno dopo la pubblicazione di #2, parlando con Terzo, gli ho chiesto di rendere ancora più palese la paradossalità della sua rubrica: da un lato gli uomini e i loro giorni, gli uomini e le loro cose; dall'altro lato Dio che diventa figurato quando usa parole, quando si fa Verbo. Ma le parole sono umane...

Quale contorto percorso conduce al divino nei racconti di Terzo? Dai rumori dei suoi racconti come può nascere la ricerca silenziosa di ciò che è eccellente (o eccedente)?
A questi interrogativi risponde terzo di Terzo. Buona lettura.



All’inizio della Tana, quando ancora le idee erano allo stato embrionale, il mio caro amico mi chiese di partecipare lasciando qualche commento. La cosa era più difficile di quanto non sembrasse. Dopo un po’ di tentativi inutili gli chiesi lo spazio e la possibilità di inserire una mia rubrica di racconti, di corto-racconti per essere precisi: fotografie di realtà viste e sentite. La scelta del nome della rubrica è un paradosso dal momento che raccontando una storia, e quindi parlando, cerco Dio nel silenzio. Ma è anche il continuo spiegare dell’uomo, con le sue parole, il suo mondo e quindi Dio.Tutti quelli che credono, tutti quelli del mistero della fede, danno per buone che le parole dette da uomini siano quelle divine che possono ascoltare. Per me, per noi, le parole divine hanno bisogno di orecchie divine, quelle umane di orecchie umane. Se Dio è ciò che è, noi siamo quello che siamo. È giusto e comprensibile concedergli questo privilegio, in fondo Lui è colui che crea e genera, noi siamo i creati e generati, lasciati al nostro triste e potente libero arbitrio.


“Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante. Il popolo vide, fu preso da tremore e si tenne lontano. Allora dissero a Mosè: «Parla tu a noi e noi ascolteremo, ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo!»”. Questo sintetico brano tratto dalla Bibbia (Esodo) riesce a far comprendere bene il concetto che sta dietro il nome della mia rubrica. Ma, come dice Luca, i cattolici (e non solo!) non smettono di storcere la bocca. Per loro Dio è rivelazione proclamata, si fa Verbo e si fa conoscere. Per me non è così. Se noi fossimo davvero capaci di ascoltare le parole di Dio ci bruceremmo, ed è per questo che il popolo di Mosè crede ciecamente alle parole che costui spaccia per divine. È la paura dell’ignoto che fa credere che se Dio parlasse loro, la fine della loro vita sarebbe prossima. È il Mistero della Fede che incatena le mani e apre la bocca per parlare, parlare, sempre e ininterrottamente. Mettere la propria voce su tutto, ma non spiegare mai, non arrivare mai a risolvere quel mistero.


Dio è nel silenzio. Ed è tutta un’altra cosa, è tutto un modo di vedere diverso. Se esiste è proprio nel mio intimo che posso trovarlo. Se esiste è nel mio silenzio che posso cercarlo e trovarlo in una eco che ripete i battiti del mio cuore. Dio è nella mia vita. Sta nel mio stare in piedi di fronte alle cose del mondo, di fronte alle storie del mondo. È da questo pensiero che nasce per me il bisogno di raccontare le storie che mi sono capitate. Rendere meno ignoto quello che vivo.


Io sono Terzo. Questo è il Terzo. Da ora in poi cercherò di farvi conoscere tutti i personaggi che gravitano intorno al mio mondo. Creeremo insieme una sorta di Spoon River italiana, tendendo bene l’orecchio verso il silenzio.


Terzo

domenica 21 giugno 2009

La meccanica di un giorno d'amore

Uno schiaffo e un tuono, parole come spugne salate.

Abbiamo abusato di locuzioni come "dal momento che", "in fondo" e più di tutte "alla fine", ma siamo riusciti a superare la nausea aggrappandoci alle tracce che ognuno di noi aveva dentro sè dell'altro.


Due carezze sotto le nuvole, parole come semi di fiducia.

Dopo il tuo abbraccio ho sentito il calore che precede il ritorno veloce della fiamma. Sei rimasta per pochi secondi di fronte al portone e prima di cercare la chiave nella borsa sei tornata da me per donarmi ancora un pò del tuo soffice odore.



Baci e luce, parole sussurrate al miele.

C'è un disegno per noi, lo sappiamo entrambi e questo ci rende migliori; tutto è già previsto ma non abbiamo mai avuto paura di invecchiare.

Ci sveglieremo con la voglia di soffocare la stanchezza, con le maniche alzate fino ai gomiti e le lenzuola saranno aggrovigliate. Fermeremo i nostri sguardi solo quando le nostre mani, tra qualche giorno, saranno ancora intrecciate: allora concederemo ai nostri cuori il riposo che essi meritano e ringrazieremo la natura che ci ha fatto così preziosi.

giovedì 18 giugno 2009

La classifica dell'allegria

La mia verità sta nel fatto che mi dissolverò cosi come si dissolvono tutti gli esseri della mia stessa specie. Ma non siamo i soli, persino le meduse e i coleotteri si perderanno per sempre. Tutto ciò sembrerebbe ininfluente al cospetto della sorprendente classifica pubblicata su un quotidiano che ho al momento tra le mani: vi sono elencati i paesi di tutto il mondo e l'ordine che seguono è quello della loro presunta allegria. 187 paesi, 187 differenti gradi di allegria. La cosa davvero sorpendente è che l'Italia è al primo posto...mi aspettavo il Brasile o comunque un paese sudamericano; la loro allegria è proverbiale. E invece no: siamo noi i più allegri. Purtroppo non sono specificati i parametri che ci permettono di gioire di questo successo, ma da una classifica che miri ad indicare il paese più allegro del mondo mi aspetterei parametri come: 1)capacità dei cittadini del paese in questione di essere autoironici, di saper vedere il lato buono delle cose; 2)altruismo e apertura verso il prossimo...insomma criteri che sottolineino la sanità, la bontà e la leggerezza di un popolo.
Pensandoci bene credo che "allegria" sia usato nella sua accezione più sprezzante, altrimenti non staremmo in cima a questa classifica. "Allegria" sta in questa circostanza per "atteggiamento irresponsabile, faciloneria
". Ecco adesso torna tutto: siamo i più irresponsabili e faciloni di tutto il mondo.
Provo vergogna per questo; meno male che mi dissolverò e auguro alle meduse che sguazzano nei nostri mari e ai coleotteri che volteggiano nei nostri cieli di perdersi nell'eterno il prima possibile.




P.S. "Niente è la morte in confronto alla vergogna" (Leonardo Sciascia)


sabato 6 giugno 2009

#2 (Dio è nel silenzio)

Per Terzo Dio è nel silenzio e i cattolici (ma non solo!) non smettono di storcere la bocca. Per loro, infatti, Dio è rivelazione proclamata, Dio si fa Verbo e si fa conoscere.
Io e Terzo non conosciamo le parole di Dio; così non ci resta che usare le nostre, pur sapendo che il silenzio è divino. Noi siamo ciò che siamo.
Quello che segue è il nuovo racconto che ho ricevuto da lui.




I miei occhi, simili al movimento dell’insetto, volano e si posano su tanti strani tipi di faccia. Queste, dalle più varianti fisionomiche, m’attirano come un fiore colmo d’odore.

Ci sono, in questo tubo veloce le facce accigliate, tristi, pensierose, allegre; fisse in un punto indefinito, perse nella musica che ascoltano, addolorate, sporche di bianco vernice; addormentate, preoccupate, piangenti, colloquianti, paranoiche, down, in attesa. Zigzagando di faccia in faccia, dentro quel tubo profondo sotto la terra, mi meraviglio sempre più della bellezza creata dall’insieme di esseri umani che popolano questo mondo effimero, società metropolitana destinata a subire dimagrimenti e ingrassi ad ogni fermata.

I miei occhi spingendo al di là del loro stesso raggio visivo, vanno a posarsi su un omino seduto-minuto. M’incuriosisce a tal punto dal dovermi avvicinare mettendo meglio a fuoco i particolari: manca di capelli vicino alla fronte e il resto che rimane, ai lati della testa, gli crea una buffa corona grigia. Porta degli occhiali che dallo spessore delle lenti mi fanno pensare sia miope. La schiena un poco curva gli crea una piccola gobba nel mezzo delle spalle. Le sue gambe sono sottili e gracili e terminano in due lunghi piedi. La sua forma somiglia vagamente agli stereotipi cinematografici dei geni folli. Ha due piccoli occhi ben messi alla destra e sinistra di un grosso naso che finisce ricurvo. Le sue labbra sottili non smettono di muoversi, sono frenetiche, sembrano salmodiare o recitare qualcosa.

Noto che il piccolo genio dalla carnagione chiara ha poggiati sulle gambe due quaderni, uno a righe e l’altro a quadri; mentre ripete le sue minuscole parole in un continuo movimento di labbra di tanto in tanto scrive cifre nei quadri e frasi nelle righe. Sembra stia cercando qualcosa che sta fra la matematica e la letteratura. La cosa ancora più strana è che cerca questo qualcosa in metropolitana, guardando le facce della gente deducendone numeri e riflessioni. Mentre penso a questo, in un attimo d’individualità, sento il suo sguardo fisso su di me. Mi giro e i suoi occhi bizzarri mi seguono con divertimento, le labbra sempre in movimento. D’un tratto piglia il quaderno a quadri e segna tre cifre, poi tre frasi in quello a righe, fa un ghigno e si volta verso un’altra persona.

Sbalordito e immobile penso: cazzo! non saprò mai cosa ha pensato di me.



Terzo

giovedì 4 giugno 2009

Ombra nera

Passano le ore, altre tane e altri esofagi. All'esterno, tanta vicinanza e qualche mistificazione di ombre disinteressate. Mi consola trovare nuove parole da pronunciare, mi allietano quelle che mi invia wilsonW. Grazie a te, buona lettura a voi tutti.

Ombra che perseguita
viscerale
attaccata ad ogni cosa-oggetto-animale.

Parleremo un giorno e ti insegnerò la vita,
l'indipendenza da corpi indegni della tua presenza.

Ombra sempre pronta nell'imitare
gesti, movimenti e fissità altrui.

Ti porterò dove il sole non può arrivare e ti libererò
come un bambino lascia volare in aria il suo palloncino.



wilsonW

martedì 2 giugno 2009

In Paradiso

Ce ne andremo a curiosare nelle chiese abbandonate
con le nostre felpe sbiadite
le mani piene di piccole bolle che stanno per scoppiare
e i piedi scalzi ci condurranno fino agli scogli.

Lontani dalle parate, lontani dai nidi del potere e dai cumuli di immondizia, resteremo in provincia a pregare che non piova.

Tu mi capirai senza aggiungere niente e io sorriderò per questo.

Ci stringeremo continuamente uno all'altro
cercando di mantenere l'equilibrio

e quando verrà la notte
bruceremo
i depliant elettorali per scaldarci.

Ti farò provare il mio tabacco
tu mi riempirai un bicchiere
col vino che ti avranno regalato anche questo natale.

Mi racconterai del tuo tempo
inventerai nuove bestemmie quando quelle vecchie
non renderanno in maniera adeguata i tuoi pensieri sulla vita.

Io non ti riprenderò perchè saremo già in paradiso
e lì nessuno sgrida nessuno;
al contrario, brinderò alla tua fantasia

e tutta la mia precedente miseria
diventerà felicità.

Cosi fu anche per te: ne sono certo e sorrido anche per questo.

lunedì 1 giugno 2009

#1 (Dio è nel silenzio)

Compare Terzo mi ha mandato un racconto, lo ha fatto usando la sua casella di posta elettronica con quel nome così FRAstagliato e GRAtificante. Lo pubblico, come gli avevo promesso. Faccio anche un'altra concessione che nutre una sua richiesta: "la rubrica è dio è nel silenzio. il titolo del racconto è #1. ciao a presto".

Tutto bene, tutto molto bene. A presto.
Buona lettura.


È stato un attimo, per quello che è sembrato ad occhi esterni, il suo volto carico di stupore e il giallore che iniziò a colorargli le gote. Lui fa il cameriere in un ristorante e durante la sua pausa, dove di solito accende e finisce una sigaretta, gli capitò di pensare. Di solito in una pausa dal lavoro uno fa di tutto tranne che pensare, può scherzare con i colleghi, in questo caso pizzaiolo o cuoco, può ragionare sul dolore ai piedi e immaginare che sia colpa delle scarpe. Invece quella sera lui pensò e basta.

Il mio nome è Terzo e quella che sto iniziando a raccontare è la storia di un mio amico. Il suo nome per il momento è meglio tacerlo, lo chiamerò lui, anzi Lui. Ci conosciamo già da tre anni, ma solamente al ristorante, nel senso che ci vediamo solo quando vado a mangiare in quel posto. Non abbiamo relazioni al di fuori di quel marciapiede dove ci incontriamo sempre per fumare una sigaretta insieme. Io da cliente lui da impiegato. Sembra che il caso, per questa circostanza, ci dia sempre una mano perché ogni volta che esco dalla porta d’ingresso con la sigaretta in bocca - giro un poco la testa a sinistra, Lui è già là appoggiato alla colonna che fuma. All’inizio della nostra pseudo amicizia mi raccontava delle cose che gli capitavano al lavoro ad esempio clienti molto strani, come quello che durante un sabato sera pieno di gente iniziò ad urlare che andava spenta la televisione, spaventando anche la moglie. Del tizio grasso che in una sola sera ruppe più di sei sedie. La costante era la totale mancanza di rispetto di una persona verso un’altra. Sembrava, a sentirlo parlare, uno che stando a contatto con la gente in una occasione così preziosa, come quella di nutrirsi, potesse arrivare a notare atteggiamenti intimi ed espressioni segrete. Ad esempio quello che mentre mangiava mugugnava, o la smorfia di sorriso che veniva fra le labbra di una signora quando addentava la mozzarella di bufala fresca intera senza tagliarla a bocconi. I suoi preferiti erano le famiglie, li adocchiava fin dall’ingresso e riusciva a capire di che pasta erano fatti. Mi raccontò di una famiglia composta da quattro elementi, il padre, la madre, figlio e figlia; facendoli accomodare si accorse che i due bambini stavano giocando con due videogame portatili e andarono a finire sul carrello dei piatti, tanto erano impegnati nei loro giochi. I genitori si scusarono con Lui senza rimproverare i bambini. Una volta accomodati i due coniugi iniziarono a spulciare i menù per decidere cosa mangiare, i bambini continuavano a fregarsene e restarono incollati allo schermo del gioco. Quando Lui andò al tavolo per prendere l’ordine il padre chiese ai suoi figli cosa desiderassero mangiare, ma quelli non lo ascoltarono nemmeno. Allora scelse per loro due pizze margherita e due coca cola. Nemmeno quando arrivò la pizza posarono i loro videogame, padre e madre tagliarono la pizza ad entrambi e li esortarono a mangiare. Quelli stizziti iniziarono a piangere e a urlare perchè non dovevano disturbarli mentre giocavano e si alzarono dal tavolo andando fuori, lasciando esterrefatto Lui che guardando i genitori vide sul loro volto una faccia di profondo dispiacere. Quando finì di raccontarmi questa storia, Lui mi pose una domanda che suonava più o meno così: che tipo di rapporto potrà andarsi a delineare fra figli e genitori se già in tenera età se ne fregano gli uni degli altri?

Quella sera andai a cena con tutta la squadra di calcetto, avevamo vinto il torneo e volevamo festeggiare, avevo pure parato il rigore della vittoria ed ero molto fiero di me. Non avevo fatto caso se Lui era in sala che lavorava e dopo la pizza uscii fuori per fumare una sigaretta. Mentre superavo la soglia della porta l’istinto e il pensiero vennero insieme, girai la testa verso sinistra come al solito per cercarlo e pensai che non l’avevo visto per tutta la durata del pasto. Guardai, comunque verso sinistra, alla colonna dove era solito appoggiarsi per allungare la schiena e non lo vidi. Girai intorno alla colonna per vedere se magari si era messo in modo da non essere visto, ma non c’era. Lo cercai dall’altro lato e trovai il cuoco seduto su uno scalino che fumava con la testa fra le ginocchia. Mi avvicinai per chiedergli dov’era Lui, se magari si era preso un giorno di ferie, volevo farmi un poco superbo raccontandogli la partita, anche essere preso in giro.

Allora gli domando:

- Ehi, Sandro … ma Lui non lavora oggi?

Sandro …

Sandro continuava a fumare in quella posizione e il fumo, nel salire su, gli copriva la testa di una nube densa bianca. Non si muoveva e non parlava, mi faceva innervosire. Allora con più convinzione e serio gli chiesi:

- Oh! Allora? Che hai fatto?

Alzò la testa mostrandomi il viso in lacrime che lasciava intendere però un ghigno strano, di rabbia o isteria. Mi guardò un poco, per capire chi aveva davanti e prese a parlare:

- Vuoi sentire una storia? Tu, Lui, lo conosci, sai com’è fatto vero? Tu pensi di sapere cosa gli passava per la testa vero? Beh, ci sbagliavamo. Tutti quelli che lo conoscevano e descrivevano un giovane forte, dinamico e divertente. Era si pensieroso e ogni tanto stava per i fatti suoi, ma tutti in fondo stiamo un po’ per i fatti nostri e ci allontaniamo dagli altri. A quanto pare i suoi pensieri erano per dirla semplice, complessi. Tu sapevi che pigliava psicofarmaci a causa di un esaurimento nervoso quando era all’università? Sai che è laureato in sociologia vero? No? Si, con una tesi da 110 e lode. Lavorava già qui quando scriveva la tesi, anzi ha voluto lavorare proprio per scrivere la tesi. Mi spiegò una volta che si trattava di prendere come oggetto di studio la sala del ristorante e la gente che mangiava e studiare il comportamento che si instaura tra cliente e cameriere, quindi fra due classi diverse e trovare tutti i casi buoni da approfondire. C’erano dei clienti che serviva sempre e solo lui. Comunque ieri è venuto a lavorare in scooter e per tutta la serata non era avvenuto niente, ma assolutamente niente. Tutto tranquillo come sempre e Lui uguale ad altre serate. Alla fine, quando erano rimasti solo cinque o sei tavoli di gente e noi stavamo mangiando Lui si alza improvvisamente, ci lascia a tavola e si dirige verso fuori. Così. Quando si alzò, per andare fuori, lo guardai di sfuggita e vidi il suo volto cambiare, sembrava stesse pensando a qualcosa di molto importante da fare o un pensiero che lo preoccupava. Torna e lo fa con una pistola nella mano destra, una faccia che non è più la sua. Abbiamo avuto paura e ci siamo ammucchiati contro il grande specchio della sala superiore. Lui si ferma davanti allo specchio dove eravamo stretti l’uno all’altra, ci guarda e poi per un attimo i suoi occhi svaniscono lasciando solo un fosco nero occhio vuoto. Sembra allargare un sorriso, alza il braccio della pistola e porta questa alla testa. Dice solo una parola: Grazie ... E spara.

È stato un attimo, per quello che è sembrato ad occhi esterni, il suo volto carico di stupore e il giallore che iniziò a colorargli le gote.


Terzo

venerdì 22 maggio 2009

Dialettica per ogni domani

A me piacciono molto le mescolanze, le preferisco alle tinte uniche. Se le cose sono uniformi provo un fastidio perpetuo perchè manca la dialettica. Quando mangio una crostata adoro sentire la sapidità di quei pochi cristalli di sale che è bene mettere anche in un dolce. Quando accarezzo un gatto mi esalta sentirlo morbido sotto la mia mano e mi rincuora la dolcezza che scorgo nei suoi occhi che si stringono per il piacere; ma in egual misura apprezzo il momento della lontananza, quello del suo fare distaccato, e mi piace guardarlo mentre cerca un posto più comodo per riposare distante dal mio palmo che, quando lui vorrà, se anch'io vorrò, saprà catturare ancora il suo gradimento. Credo che ben poche cose siano prive di mescolanza e non è mero relativismo questo: tutto ciò che ci circonda e noi stessi esistiamo in funzione di qualcos'altro che prima o dopo, lontano o vicino, ci appartiene. Viviamo per l'altro: è, a mio parere, un fatto dato e ineluttabile. Cosa posso mai vedere, gustare, fiutare, toccare, udire che non sia visibile, gustabile, fiutabile, toccabile, udibile? Cosa mai sarebbe il bello se non ci fosse il brutto a rendere visibile l'insufficienza di un concetto autoriflettente? Un padrone non morirebbe di fame senza la fatica dei suoi operai?
Ecco come la dialettica vince. Ed ecco come mi sono accorto della tana che ho nel mio esofago, la tana dei rospi che la vita a volte ti chiede di mandare giù. Ma i rospi non si inghiottono, è solo un luogo comune credere che vadano giù dopo averli masticati. Per me è meglio cosi perchè i luoghi comuni, si sa, sono di un'unica tinta, sono terribilmente uniformi, senza nessuna piegha per sognare. Così ho scoperto che i rospi si creano un rifugio nell'esofago e da lì scendono verso l'intestino per poi risalire fino alla lingua riportando continuamente a galla le paure e le asfissie. Se ci fermassimo qui, non ci sarebbe dialettica ma solo un monotono riclico cromatico. Invece cosi non è: i rospi battono la cadenza del mio respiro, mi ricordano che sono vivo e che, quandò vorrò, se vorrò, penserò a domani.

giovedì 14 maggio 2009

Assenza

LA VERTIGINE DELL'ASSENZA
E' QUESTO STRETTO LACCIO FONICO
MORENTE SUI MIEI TIMPANI

Il mio paese oggi (oggi oggi)

Il mio paese non accetta chi chiede una nuova terra ferma, una nuvola d'ombra sopra un'esistenza arida. Nel mio paese ci sono tanti cittadini al di sopra di ogni sospetto che organizzano una nuova scampagnata elettorale: una domenica festosa, una domenica che "mangiamo dalla nonna?". La nonna nobilita il suo e mio paese con le panelle e i carciofi alla pastella ma, ahimè, saremo ancora sconfitti al lunedì. Saremo al lavoro e inizieremo a mettere le maniche corte perchè in Sicilia il caldo viene prima e va via dopo e la vendemmia la si fa sempre sotto un sole che brucia. Il mio paese non accetta il fatto che la felicità è densamente spopolata, cosi cerca di dimenticarsi tutto staccando il cervello per un'oretta dopo pranzo: prima la soap ambientata nel magnifico ed elegante centro commerciale dove di tutti si sa tutto, poi un tronista fa la scelta di quella che potrebbe essere (ma non sarà) la donna della sua vita. Contemporaneamente il Ministro degli Interni del mio paese (che poi poteva fare il ministro al suo paese ed evitarmi la disgustosa visione dei suoi brutti fazzoletti da taschino) parla in aula e chiede che ci si fidi un pò di lui: non temete, abbiamo in pugno la situazione, come sempre e per sempre. Il tronista sceglie e l'aula lo applaude, qualcuno si alza in piedi ed urla: facci sognare; più fazzoletti per tutti, per ogni scompartimento un fazzoletto di colore diverso.
Nel mio paese il mare ha il colore delle cose ignote, un blu che non riesci quasi mai a trovare quando lo cerchi. A volte le onde respingono le grida ed è impossibile arrivare alla meta. Oggi in Italia va così.