domenica 1 novembre 2009

#4 (Dio è nel silenzio) - Il Rigattiere

Terzo e i suoi trambusti, piacevole ritorno. Doveva venire a trovarmi e portarmi il racconto personalmente ma non ha potuto perchè "è un raccontino breve, che finisce male perchè non finisce".

Forse però non finirà mai e chissà da quanto è così. O forse siamo noi che non ne vedremo mai la fine.
Questo è Il Rigattiere, buona lettura.

Giriamo l’angolo della farmacia ed eccoci davanti al portone di casa, bel portone in legno decorato con intarsi arabeschi, Aldo si gira e mi dice: “il mio loft è al terzo piano”. Beh, più che loft io lo chiamerei monolocale, o meglio ancora garage, magazzino forse; è una stanza enorme senza pareti quella che m’annuncia come casa sua. M’invita ad entrare e posare la giacca sopra la poltrona indicandomi un mucchio alto circa due metri di giacche e cappotti. Dando un’occhiata alla casa mi accorgo che è davvero un magazzino pieno di cianfrusaglie varie, c’è addirittura un vecchio sidecar della seconda guerra mondiale “bello eh? Quello l’ho preso quasi trent’anni fa da un gruppo di zingari che passavano di qui e pensa … quando l’ho preso camminava ancora! Adesso lo uso come sopramobile.”

Non m’interesso più di quel cimelio e vado verso il tavolo vicino ai fornelli della cucina dove Aldo sta facendo il caffè. Da una credenza piglia un barattolo di ceramica di quelli con la chiusura di metallo, da un altro sportello poi, tira fuori la caffettiera e con mio grande stupore m’accorgo che è il modello napoletano, sapete quella che si gira una volta che l’acqua bolle. Tiro fuori il tabacco e inizio a farmi una sigaretta e per rompere il ghiaccio inizio a parlargli di me, di cosa faccio per vivere, quello che studio, i miei interessi. Lui ascolta mentre prepara il caffè e appena finisce si gira, si siede e mi dice che non si può fumare.

Poso la sigaretta facendo un sorriso e chiedo in silenzio se può fare uno strappo alla regola; Aldo sembra capirmi e con la testa mi ripete il no: “ho smesso di fumare quindici anni fa, secondo te ti faccio fumare qui? Si quindici, ma non è dura come pensa la maggior parte della gente. Un giorno ti annoi e smetti di fumare, c’è chi non si annoia e continua.” Inizia a raccontare di quando negli anni settanta era in facoltà, era giovane e i fermenti di quegli anni non si scordano più “eravamo belli, giovani e sentivamo che potevamo cambiare davvero qualcosa. Col senno di poi ti posso dire che abbiamo avuto paura nel momento migliore, ma poi la gente ha chiuso gli occhi, altri sono stati convinti o sono stati presi in giro dal sindacato e alcuni si sono impiegati nei servizi segreti. I molti sono diventatati dirigenti, in molti sono morti, che poi è la stessa cosa, io e la mia donna siamo andati in America Latina a farci una vacanza.” Mi dice delle difficoltà di quel viaggio: non potendosi permettere un biglietto aereo sono partiti in nave, lui ha anche lavorato da cameriere a bordo per pagare una parte di biglietto. Arrivati dall’altra parte del mondo hanno iniziato a lavorare di pollice “come dici tu quando fai l’autostop? Siamo arrivati fino a Capo Horn con i passaggi. Senza soldi ci siamo divertiti, abbiamo conosciuto molta bella gente, di quella paesana, quella ai margini delle grandi strade. Villaggi stupendi e cibo buono, molta pioggia e cieli immensi, cieli enormi che t’inghiottono, di quelli nuvolosi densi, a pecorelle, nuvole sfilacciate come cotone sulla testa da farti venire il torcicollo. E distese di niente, fin dove arriva l’occhio c’è il nulla, per due giorni siamo rimasti soli su una strada non passava una macchina, non un camion che ci accompagnasse un poco più in là. Quando siamo rientrati in Italia la situazione era completamente cambiata. Erano gli anni ottanta, ci siamo accorti di aver viaggiato per quasi dieci anni e non riconoscevamo niente della nostra città, era tutto diverso; sembravamo stranieri in casa. Gli amici erano cambiati, adesso avevano una famiglia e al posto dei jeans avevano pantaloni e giacche. Non tanto per i vestiti che non hanno un valore in sè, ma per quanto riguarda il loro modo di pensare. Li ricordavo ribelli e non borghesi, adesso invece erano ingabbiati nei loro concetti e preconcetti, si erano scordati tutto lasciando il posto a cose come il capo ufficio, la macchina più larga visto che è in arrivo un bimbo, la domenica allo stadio dove si può essere se stessi.”

Quest’uomo di quasi sessant’anni mi racconta del passato, più di vent’anni fa, e io rivedo l’attualità. E mentre glielo dico Aldo fa un amaro sorriso “una volta qui, dopo l’America, mi sono dovuto adattare anch’io. Non sapevo come però, ci sono stati momenti difficili e non volevo finire dentro un ufficio, avevo ancora l’odore di quei cieli nel naso e di finire dentro quattro mura asettiche non era la mia aspirazione. La mia compagna, lei come tutte le donne, ha fatto meno fatica a riadattarsi e alla fine dopo una serie di liti e pianti ci siamo separati. Ora so che è felice e ha avuto tre figli con suo marito. Pensa … quando stavamo insieme odiava il matrimonio! Non cambiare mai idea non sempre è coerenza, cambiarla spesso non sempre è segno di adattabilità. Ci vuole una misura; e un giorno ho conosciuto un croato che faceva il rigattiere.”



Terzo

11 commenti:

  1. La felicità può essere presa come unità di misura?
    Prego con i commenti...

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  2. Le emozioni sono componenti fondamentali della nostra vita,da esse,spesso,traiamo gli stimoli che muovono le nostre giornate, seppur vero è che, ognuna di queste, sia molto importante per noi,l'uomo è perennemente alla ricerca di uno stato emotivo che lo faccia star bene!!!!!!! In poche parole, è alla ricerca della così detta, FELICITA'. In conclusione questo stato di benessere, è soggettivo, quindi ognuno di noi è libero di ricercarlo dove meglio crede........la Felicità può essere condivisa ma non esiste,secondo me,LA FELICITA' ASSOLUTA.........Vota Antonio M.

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  3. Io non credo che si porra ridurre la felicità a mero stato emotivo per così dire "positivo". Certamente un simile stato è perennemente ricercato da tutti gli uomini (tranne nei casi di particolari patologie); ma non per questo si è disposti a tutto pur di raggiungerlo nè riteniamo GIUSTO che lo facciano gli altri.

    Nessuno di buon senso potrebbe affermare che uno stupratore sia felice nel momento in cui sottomette alla sua brutalità l'ennesima vittima. Egli soddisfa la sua pulsione sessuale con la violenza e in quel momento prova una forte emozione. Egli in quel momento si sente felice, ma non lo è. Chi conviene con me su questo punto (sicuramente i più) probabilmente lo fa perchè ha un'idea di ciò che è la felicità e di ciò che non può essere.

    Lo stato di benessere emotivo, probabilmente, è un compagno di viaggio della felicità: chi è felice sta bene ma non sempre chi sta bene è felice. Sovrapporre le due cose significa svuotarle di senso.

    Allo stesso modo è bene non confondere la felicità con la ricchezza. Questo parrebbe essere scontato ma forse in tempi come il nostro non lo è affatto. Chi è felice ha tutto ciò che gli serve per vivere bene anche se fosse l'uomo più povero della terra; al contrario avere tante ricchezze non assicura mai la felicità.

    Io credo che la felicità abbia una sua componente soggettiva: dopo tutto ogni uomo è innanzi tutto un singolo io che cerca di muoversi come meglio può sulla strada della sua vita. Tuttavia questa componente soggettiva è molto piccola rispetto alla sua complementare gemella oggettiva. La felicità vale per tutti allo stesso modo e, poichè ciò che ci rende simili differenziandoci da tutto il resto del creato non sono essenzialmente i caratteri somatici ma la facoltà di pensiero, credo che essere felici può significare pensare, osservare il mondo e razionalizzarlo (nel senso strettissimo del termine). Pensare, come lo intendo qui, non è come vegetare, cioè non è qualcosa che accade anche senza la nostra volontà. Ci dobbiamo coninuamente sforzare di raggiungere conoscenze più profonde, dobbiamo senza sosta esercitare la nostra capacità critica per essere migliori di fronte al nostro mondo. Questo è per me essere felici.

    P.S. La mia idea di felicità ha una storia millenaria. Non sto inventando nulla, sia chiaro. Ma in realtà le idee non sono come le braccia, le mani o ogni altra parte del corpo: quest'ultime mutano lentamente, cambiano senza che una sola vita possa accorgersene. Le idee invece possono morirè schiacciate da un battito di ciglia, per questa ragione hanno bisogno di essere continuamente salvate dal loro "infelice" destino.

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  4. Ah, dimenticavo: ho eliminato il mio precedente commento perchè in realtà era solo una provocazione per cercare di innescare una discussione sull'idea di felicità. Sostenevo in quel commento il contrario di ciò che penso e che ho detto nell'ultimo commento, cioè che la felicità è uno stato soggettivo e che per questo la felicità di uno è incommensurabile rispetto a queòòa di ogni altro. In realtà sono d'accordo con Ciccio (Francesco, seee): la felicità è unità di misura e ciò che misura è proprio il nostro stare al mondo come esseri capaci di pensiero critico.

    Adesso che pare si sia innescato una discussione, ho potuto dire finalmente ciò che penso.

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  5. Terzo fa finire il racconto con la ricerca di una misura che possa in qualche modo rendere felici le persone. La moglie è felice adesso con i suoi bambini e suo marito. E Aldo ha trovato la sua misura di felicità conoscendo un rigattiere che probabilmente gli ha passato il mestiere.
    Ha ragione Luca quando dice che la felicità è "unità di misura e ciò che misura è proprio il nostro stare al mondo come esseri capaci di pensiero critico".
    La felicità ha una componente soggettiva e una tensione oggettiva. Siamo tutti vogliosi di una felicità collettiva, ma a volte non riuscendo ci accontentiamo di una cosa più piccola che possa farci andare avanti di qualche passo. E quest'ultima può avere tutte le forme possibili e immaginabili.
    Terzo, con un espediente storico, nel suo racconto ha voluto fotografare una condizione, uno stato d'animo, la ricerca da parte di ognuno di noi di quella condizione che possa essere definita feliciità o stato d'animo positivo, comunque un modo buono per stare al mondo.

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  6. Penso che la felicita' sia non-misurabile.Matematicamente non-misurabile
    attesta l'esistenza di qualcosa alla quale non si riesce a dare una "scala" per misurarla.
    Questa scala,credo pero',sia uguale per tutti,a differenza del comune pensiero.
    Poprio perche' non conosciamo questa "unita' di misura" spesso si cade nel luogo comune che
    la felicita' è soggettiva.
    Ad esempio:il passo della nostra camminata è soggettivo?
    Molti direbbero si.
    In realta' è oggettivo.E' vero che "l'apertura" è differente in ognuno di noi ma
    è misurabile,per cui risulta essere semplicemente piu' o meno ampio.Ma non diverso.
    La differenza è sottile.
    Ci dobbiamo anche chiedere perche',spesso,lo stesso gesto,gusto,odore,sensazione provochi in
    noi "felicita'" diverse.
    Mi chiedo,a riguardo,la felicita' viene influenzata dall'abitudine?
    Perche'non gustiamo piu' quel ripetersi di sensazioni come la prima volta?

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  7. Felicità sa sorprendere...la mia è un gomitolo da sbrogliare, è una di quelle che al mattino mi rendono invulnerabile e al calare della sera si ritira nelle più recondite parti del corpo. é un gomitolo fastidioso e infastidito da i miei continui sbalzi d'umore, ecco se c'è una cosa che ho capito è che Felicità e cambi d'umore non si ritrovano spesso, diciamo che tra loro non c'è dialogo, non esiste comunicazione, c'è un muro grande e immenso con una porta piccola aperta, da dove a volte si spiano e dalla quale, per meccaniche cui non sò dare spiegazione, giocano al gioco dell'"essere umano"...

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  8. Tutti siamo in cerca della felicità, ma spesso non la troviamo perchè la cerchiamo dove non esiste (anche se noi siamo convinti del contrario). E siccome la strada è sbagliata, più la seguiamo e più ci allontaniamo dalla felicità.
    Solo in Dio esiste la felicità dove l'uomo discerne la motivazione della sua esistenza e nel realizzarla trova pace e serenità.

    Giandomenico Stabile

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  9. Caro Giandomenico, ho molto rispetto del tuo pensiero e non è mia intenzione criticarlo oltremodo. Dico solo che la certezza con cui tu confini in Dio la felicità umana (anzi "la pace e la serenità") segnala una ostruzione dogmatica che hai deliberatamente deciso di porre alla tua vita. Sei così sicuro che la felicità risieda in Dio? Come fai a saperlo (forse puoi solo sentirlo, ma non saperlo)? Puoi essere solo certo della tua ricerca di Dio(nel migliore dei casi) o della tua fede in Dio(nel peggiore), ma non può dire nulla sulla sua presuntà felicità. Dio è nel silenzio, io preferisco tacere a riguardo.

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  10. Terzo è tra i preti. Sta rivedendo alcune cose che ha scritto per poi inviarmele. Almeno così mi ha detto.

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