A me piacciono molto le mescolanze, le preferisco alle tinte uniche. Se le cose sono uniformi provo un fastidio perpetuo perchè manca la dialettica. Quando mangio una crostata adoro sentire la sapidità di quei pochi cristalli di sale che è bene mettere anche in un dolce. Quando accarezzo un gatto mi esalta sentirlo morbido sotto la mia mano e mi rincuora la dolcezza che scorgo nei suoi occhi che si stringono per il piacere; ma in egual misura apprezzo il momento della lontananza, quello del suo fare distaccato, e mi piace guardarlo mentre cerca un posto più comodo per riposare distante dal mio palmo che, quando lui vorrà, se anch'io vorrò, saprà catturare ancora il suo gradimento. Credo che ben poche cose siano prive di mescolanza e non è mero relativismo questo: tutto ciò che ci circonda e noi stessi esistiamo in funzione di qualcos'altro che prima o dopo, lontano o vicino, ci appartiene. Viviamo per l'altro: è, a mio parere, un fatto dato e ineluttabile. Cosa posso mai vedere, gustare, fiutare, toccare, udire che non sia visibile, gustabile, fiutabile, toccabile, udibile? Cosa mai sarebbe il bello se non ci fosse il brutto a rendere visibile l'insufficienza di un concetto autoriflettente? Un padrone non morirebbe di fame senza la fatica dei suoi operai?
Ecco come la dialettica vince. Ed ecco come mi sono accorto della tana che ho nel mio esofago, la tana dei rospi che la vita a volte ti chiede di mandare giù. Ma i rospi non si inghiottono, è solo un luogo comune credere che vadano giù dopo averli masticati. Per me è meglio cosi perchè i luoghi comuni, si sa, sono di un'unica tinta, sono terribilmente uniformi, senza nessuna piegha per sognare. Così ho scoperto che i rospi si creano un rifugio nell'esofago e da lì scendono verso l'intestino per poi risalire fino alla lingua riportando continuamente a galla le paure e le asfissie. Se ci fermassimo qui, non ci sarebbe dialettica ma solo un monotono riclico cromatico. Invece cosi non è: i rospi battono la cadenza del mio respiro, mi ricordano che sono vivo e che, quandò vorrò, se vorrò, penserò a domani.
venerdì 22 maggio 2009
giovedì 14 maggio 2009
Il mio paese oggi (oggi oggi)
Il mio paese non accetta chi chiede una nuova terra ferma, una nuvola d'ombra sopra un'esistenza arida. Nel mio paese ci sono tanti cittadini al di sopra di ogni sospetto che organizzano una nuova scampagnata elettorale: una domenica festosa, una domenica che "mangiamo dalla nonna?". La nonna nobilita il suo e mio paese con le panelle e i carciofi alla pastella ma, ahimè, saremo ancora sconfitti al lunedì. Saremo al lavoro e inizieremo a mettere le maniche corte perchè in Sicilia il caldo viene prima e va via dopo e la vendemmia la si fa sempre sotto un sole che brucia. Il mio paese non accetta il fatto che la felicità è densamente spopolata, cosi cerca di dimenticarsi tutto staccando il cervello per un'oretta dopo pranzo: prima la soap ambientata nel magnifico ed elegante centro commerciale dove di tutti si sa tutto, poi un tronista fa la scelta di quella che potrebbe essere (ma non sarà) la donna della sua vita. Contemporaneamente il Ministro degli Interni del mio paese (che poi poteva fare il ministro al suo paese ed evitarmi la disgustosa visione dei suoi brutti fazzoletti da taschino) parla in aula e chiede che ci si fidi un pò di lui: non temete, abbiamo in pugno la situazione, come sempre e per sempre. Il tronista sceglie e l'aula lo applaude, qualcuno si alza in piedi ed urla: facci sognare; più fazzoletti per tutti, per ogni scompartimento un fazzoletto di colore diverso.
Nel mio paese il mare ha il colore delle cose ignote, un blu che non riesci quasi mai a trovare quando lo cerchi. A volte le onde respingono le grida ed è impossibile arrivare alla meta. Oggi in Italia va così.
Nel mio paese il mare ha il colore delle cose ignote, un blu che non riesci quasi mai a trovare quando lo cerchi. A volte le onde respingono le grida ed è impossibile arrivare alla meta. Oggi in Italia va così.
Iscriviti a:
Post (Atom)