mercoledì 24 novembre 2010

Poi il silenzio

Scavo le tue delicate rientranze
che vibrano
tra un sorriso fradicio di letizia
e una richiesta di verità passata alle mani
ansiose tra i miei capelli.

La bocca ricarica ed esplode in un dolce spasmo ritmato
tormenta l’organo dei rumori
bagnato e lievemente infreddolito.

Gli occhi alimentano la fiducia che velocizza l’agguato.

Spinte, balzi, percorsi di cera sul tuo corpo
e lesti graffi che dipingono la mia schiena.

Poi il silenzio, celebrato dal nostro fiato appagato.

martedì 16 novembre 2010

#6 (Dio è nel silenzio) - Il silenzio non è all'undicesimo piano

Dopo mesi di digiuno i rospi sono tornati a galla per mordere le nostre lingue. Non si riesce a tenerli giù per sempre, non si riesce mai a tenerlì giù. Queste sono giornate di merda, giornate che non lasciano spazio nelle tombe per permettere ai loro morti di rivoltarsi a piacimento.

La risalita dei rospi li ha condotti fino all'undicesimo piano dell'esofago in cui lavora Terzo. Le giornate di merda continueranno, finiranno per poi ritornare e così via; ma nel frattempo godiamoci questa storia.


Dall’undicesimo piano, questa la prospettiva del mio lavoro, si vedono diverse le cose. Un temporale, ad esempio, svela il lato giocoso che nasconde tra le nuvole grigie. Queste ultime che da sotto sembrano schiacciare la gente, viste da lì sono meno dense, più filacciose, più alla portata dei sogni umani. Altro esempio può essere uno stormo di rondini che lasciano posto all’inverno. Si muovono in numero esagerato e quando le guardi dal piano stradale resti un attimo incantato dalle forme che riescono a compiere. Dall’undicesimo piano invece riesci a cogliere la paura che gli batte in petto, la fretta di lasciare quel posto e la comodità di volare in numeri così grossi in modo da limitare le perdite. Dall’undicesimo piano, tale è la prospettiva del mio lavoro, mentre mi lascio andare alla meraviglia degli occhi, ripenso al percorso fatto per arrivare fin qui in metropolitana. Ci vogliono quindici fermate più o meno, cinque le faccio con la mia ragazza le altre dieci con la mia testa; e oggi, guardando il riflesso dei finestrini, mi sono accorto che tutte queste donne e questi uomini per doversi reggere ai corrimano devono fare il saluto col pugno, quello comunista! E mi è venuto da ridere e non sapevo trattenermi e volevo raccontarlo a qualcuno, ma quando sono salito in ufficio ho visto facce di cera, ancora assonnate ma già pronte a lamentarsi. Allora ho guardato fuori e sono andato via da quel posto, da quelle stanze e da quel palazzo, ho superato il palazzo dell’Eni, la metro e non so quanti monumenti e piazze e sono arrivato al confine d’acqua. Poi lo squillo del telefono mi ha riportato indietro, la direttrice ha mandato la nuova lista su cui lavorare.

Lavoro per una delle più grosse società di telefonia mobile, noi facciamo il recupero crediti, il che vuol dire che lavoro in un call center e devo chiamare donne e uomini che non hanno un volto ma solo un codice clienti, da cui si tira fuori nome e cognome, dove vivono e soprattutto quanti debiti hanno. È inverosimile ma mi capita di sentire gente che ha problemi finanziari giganteschi come ad esempio la perdita del lavoro o un divorzio e io dall’alto del mio telefono devo ricordagli un debito sulla bolletta telefonica o sul servizio internet. Quando propongo un pagamento rateizzato queste persone mi ringraziano come se gli avessi regalato qualcosa, come se gli stessi dispensando dell’ossigeno, una boccata d’aria in più, un po’ di tempo per sistemare le cose familiari ed evitare il collasso. Altre, invece, non gioiscono più di niente, la vita li ha completamente rassegnati e di fronte ad una minaccia, o promessa, che il loro caso passerà agli avvocati per il recupero forzato alzano le spalle (immagino facciano così) e dicono sommessamente “che vada tutto alla malora. Anche io.” Ed è in questo momento che non sopporto più, allora mi alzo, guadagno un po’ di metri dalla scrivania, prendo le scale e scendo giù, fuori, dove mi aspetta un bel giardino fatto di pini e olmi, alberi di giuda, cespugli, prato e panchine. Mi metto a sedere, tiro fuori il tabacco e mi arrotolo una sigaretta e nel fumo delle prime boccate passa Michele. Non so se è il suo vero nome questo, è il giardiniere che cura in silenzio gli alberi e pettina il prato col suo rastrello. Gli ho dato questo nome perché mi piace pensare che sia come San Michele Arcangelo protettore della polizia di stato, dei paracadutisti, degli spadaccini, maestri d'arme e armaioli, degli arrotini, dei commercianti, dei giudici, dei merciai e dei lavoratori tutti. Michele dall’ebraico Mi-Kha'El, composto dalle parole mi (chi), kha (come) e El, abbreviazione di Elohìm cioè Dio. Il significato letterale è quindi Chi (è) come Dio, chi come Dio lavora in silenzio e si prende cura delle sue creature. Mentre lo guardo penso alle nostre differenze, alle armi che usiamo per svolgere il nostro lavoro: lui con forbici, rastrello e scala telescopica effettua movimenti lenti, avendo cura di non fare male agli alberi mentre li defoglia o modifica qualche ramo o mentre raccoglie dal prato le foglie secche. Io che con telefono e computer mi affanno a comporre numeri telefonici e a parlare alle persone per concordare un possibile piano di rientro, ad arrabbiarmi se penso che nonostante la mancanza di lavoro o i disagi economici il bisogno di avere internet a casa è più grande. È come se i bisogni primari di questa mia società si siano modificati e tendano al superfluo. Non importa se hai un lavoro in nero, ti ci vuole una bella macchina per arrivare al locale dove fare l’aperitivo. Non importa se su quella macchina puoi solo mettere dieci euro di benzina, altrimenti non hai soldi neanche per una birra, perché sai che con una bella macchina hai più probabilità di rimorchiare.

domenica 30 maggio 2010

Un mondo nelle tasche

Ho un mondo nelle tasche e mi piscio addosso come un bambino.
Il vostro Dio mi annusa per rubare il mio profumo e farlo suo eternamente.

Sono nato, sono figlio, sono maschio.
Questo è rosso, quello blu.
Questo è il sole, poi verrà la luna.
Uno è sempre uno, non è inizio e non è fine.
Questo brucia, quello uccide.
Il bello piace, il brutto dispiace.
Le cose fatte al meglio, le cose fatte bene,
quelle da non fare e quelle incompiute.
I successi inanellati che diminuiscono la pietà che si ha di sé.
Gli inutili trambusti, su e giù per spiagge lunghe e strette.
Le agitazioni cronometrate e il perpetuo assopimento delle voglie.

Sorrido e sono finto, sorrido e sono vero.
Quasi mai piango e quel poco che lo faccio è come morire sperando di rinascere.

venerdì 2 aprile 2010

#5 (Dio è nel silenzio) - La Pinergia

Ogni tanto Terzo si muove, ritorna a casa. Quando lo fa, le distanze tra me e lui si allungano. Da su a giù, da su verso giù. Ma Terzo sa bene che la dilatazione dello spazio non è un pieno che ostruisce: non esistono barriere che possano arginare i piccoli racconti della sua vita vissuta tra gli specchi. Le sue parole, le parole di ogni uomo, fanno vibrare la terra e l'aria e trasportano frammenti di esistenza, si compenetrano e si confondono con altre esistenze. Terzo sa bene che quando vuole raccontare una storia ci sono dei rospi pronti ad accoglierlo nella loro tana e ad ascoltarlo.
Come sempre preferiamo la risonanza dell'esofago, lasciamo ai festaioli abusi e misteri. Dio tace, Terzo racconta, io vi invito a leggere. A presto.


Ciao CammaRè, sono Terzo in ritorno dal girone d'andata all'inferno e ora mi sembra così brutta 'sta città...Ho incontrato uno strano stranissimo personaggio durante il viaggio e te lo racconto così come mi è venuto accanto mentre stavo seduto in stazione ad aspettare il treno:

Pino: Salve straniero, io sono Giuseppe ma può chiamarmi Pino.
Terzo: Salve Pino, io sono Terzo ma lei può chiamarmi Straniero.
P: Complimenti caro per il bel nome che la sua famiglia le ha imposto. Sembra, a dire il vero, un numero...no?
T: Si in effetti, però rappresenta un grado: è il grado del mio vero nome.
P: Un grado? Allora mi sa che lei ha un nome di merda e preferisce il grado. Si chiama forse Giacosilvio Terzo Di Canterbury? Oppure...
T: No, no! Mi chiamo Terzo e basta.
P: Senta signor Terzo Straniero cosa fa qui?
T: Beh, aspetto il ...
P: Aspetta! Il signore aspetta! Che si crede, stiamo tutti aspettando qui ...
T: Non c'è bisogno di urlare, si sieda! Con calma Pino, da bravo...si, stiamo aspettando tutti, d'accordo? Aspettiamo il treno che ci porta via, in fretta.
P: Ma cosa va blaterando? Dico: CO-SA-VA-BLA-TE-RA-NDO? Lei mi fa bollire il sangue e neanche la conosco! Ma si rende conto di dove ci troviamo?! Lei ha ragione a guardare dall'altra parte cercando aiuto, perchè forse non ha ancora realizzato una concezione basilare dello spazio-tempo...
T: Aspetti Pino, aspetti ... cosa vuol dire tutto ciò? Cosa significa la concezione basilare dello spazio-tempo?
P: Caro Straniero, è semplice. Ma la semplicità è spesso lasciata in disparte, ciò che interessa è la complessità delle cose. I nostri sensi saturi stentano a concepire lo spazio-tempo in maniera non consona alle linee guida dettate dalla società. La sua discesa qui è qualcosa di semplice che sconvolge però il suo ed il mio modo di vedere le cose. I nostri mondi sono diversi, lei non dovrebbe essere qui...
T: Ma cosa sta dicendo? Non riesco a seguirla...lei è pa...
P: Normale che non riesce a seguirmi! Lei si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato.
T: Ma perchè, secondo lei dove cazzo siamo se non in una cazzo di stazione?
P: Non c'è bisogno di urlare, si sieda! Con calma Straniero, da bravo...si sieda che le spiego tutto io. In effetti non è poi così semplice ma se si lascia guidare l'aiuto io.
T: Oddio, ma lei chi è? Tutto così confuso...mi devo fidare di un ma...
P: No! Come prima cosa lei deve tirare fuori il diavolo che ha nella sua tana. Il cannocchiale che usa è messo al contrario perciò tutto le sembra lontano...deve seguire il ragionamento, magari un pò scemo, ma sempre un ragionamento. Lei è all'inferno caro Terzo Straniero. Su questo dato il fatto è un fatto e le parole non galleggiano più come in superficie, qui l'aria sa di zolfo e come ben sa lo zolfo puzza. Qui conta solo la sua energia, meglio ancora qui conta la
Pinergia.
T: La pinergia...
P: Ben detto! La conosce già?
T: Non so di che diavolo sta parlando.
P: Esatto! Il Diavolo! Lo tiri fuori Straniero! Solo così può liberarsi dalle oppressioni di questo mondo.
T: Quale mondo?
P: Bravissimo! La domanda è esatta, ed il problema principale qui sono le domande non le risposte. La Pinergia, ad esempio, è l'Energia sprigionata da chi come me si chiama Pino. Da quel che ne so sono l'unico Pino ad avere questo potere, e sto compiendo degli studi per dare carattere istituzionale a questa mia scoperta psico-scientifica! Ma pensi: la Pinergia libererà gli uomini dal peccato, dal rimorso, dal rimborso e dalla tosse...sa quella fastidiosa tosse che viene quando uno ha una voglia matta di dire le cose però non può farlo per senso del pudore o per vergogna?
T: Quando uno per senso d’etica comune non dice le cose che ha dentro lasciandole marcire e poi viene quel nodo alla gola che ti fa diventare matto, si comincia a tossire e alla fine quello di cui hai bisogno non è un fluidificante del catarro ma uno sfogo come si deve? No, non ho presente. Lei mi sta confondendo non poco le idee caro Pino.
P: È questo l’effetto della Pinergia! È travolgente, spossante, ruba al conosciuto e regala il sogno. Lei deve coagulare tutta la sua depressione...
T: Ma io non sono depresso!
P: Lei non è depresso d’accordo...diciamo che è stressato. Ma si guardi. Soprattutto si ascolti! Fa dei discorsi che non stanno in piedi, caro Straniero o qualunque sia il suo vero
nome. Insomma, sono tre ore che mi tiene qui parlando di diavoli e tane, di tosse, di energia e rimborsi!
T: (visibilmente incazzato) MA COSA STA DICENDO? LEI È PAZZO! Adesso vorrebbe darmi a intendere che sono io che l’ho importunata per tre ore buone con tutte quelle cazzate che mi ha detto! Mi ha rotto i coglioni per tre ore dicendo che io non dovrei essere qui...e dove? Dice di chiamarsi Pino e di trovare stupido il mio nome - il mio nome! Ma ha
sentito il suo? Cazzo, Giuseppe! Giuseppe!!! E poi la Pinergia...ma cos’è un prodotto forse? Vuole vendermi l’aria? O uno spray che mi farà diventare felice? O forse una pillola o una supposta che fa passare la tosse e ti obbliga a parlare a vanvera con perfetti sconosciuti a cui confondere il cervello? La pinergia! LA PINERGIA!!!
P: Lei mi sta facendo paura signore. La prego di allontanarsi da me o mi vedo costretto a chiamare la Guardia. Lei non è cattivo, signore: glielo leggo negli occhi che non farebbe mai del male a nessuno; malgrado ciò lei ha esagerato signore. Mettersi a urlare in questo modo con la faccia che si ritrova in questo momento... devo ammetterlo ...

Intanto qualcuno ha davvero chiamato una Guardia che mi ha bloccato mentre avevo il signor Giuseppe fra le mani pronto per fare a botte. Mi hanno portato alla stazione della Guardia per la denuncia che Pino mi stava per fare. In visibile stato di shock lui, visibilmente abbandonato all’ira io.
Dopo sei ore mi hanno rilasciato. Non so come il mio lettore mp3 si è messo a registrare la chiacchierata con il signor Pino e la sua Pinergia. La Guardia che scriveva il verbale ha potuto così sentire che io stavo nel giusto e che al povero Pino servivano delle cure mediche.

Questo che ti mando è solo un estratto della discussione, un montaggio che ho fatto giocando a levare dal materiale audio che mi sono inconsapevolmente ritrovato.
Magari ne faccio altri...boh ... la Pinergia mi ha sconvolto l’esistenza.

Terzo

lunedì 29 marzo 2010

Accadimenti e profumi mutati in pensieri (Desiderio e Disagio)


Siamo quello che sentiamo e quello che sentiamo prima o poi finisce per indisporre la nostra anima, creando un disagio cui dobbiamo porre rimedio. Ecco come l'insoddisfazione uccide tutto ciò che creiamo con fatica ed ecco perchè non possiamo mai godere come vorremmo.


wilsonW ha sentito. wilsonW ha desiderato e si è subito indisposto. wilsonW non ha goduto come avrebbe voluto. Poi però mi ha scritto quello che sto per farvi leggere. Buona lettura.




Momento riflessivo in luogo di ritrovo bolognese (offro una Vita che chiama ad un interlocutore vicino non quanto basta a toccarlo con mano).

Il freddo è una felpa senza maniche ridotta a pezza per asciugare sudori in tempi di primavera...
Marsala torna alla mia mente in flussi di gente nota e annota parole scritte dette sconnesse su scarpe nuove e vecchie, On the road di una città mutevole.

Alla sera si esemplificano i movimenti, si ritualizzano, ci si scontra con altri corpi e si scopre la morbidezza del corpo, il profumo vellutato di un pensiero riferito all'ombra di qualche ciuffo di capelli riconosco la tua guancia.

ma ancora non ti vedo
sembrano occhi ribelli

Non guardarmi o l'incanto di questo tempo svanisce portandosi via la luce della fata che vedo in te.
Porgerò lo scheletro, il mio, al mondo e il mondo accetterà le mie parole.
Mi sgretolerò e gli anarchici prenderanno la mia anima, la musica mi porterà in luoghi ignoti.
Per ogni nota un posto, un esperienza, e
le voci parlano di loro stesse.


wilsonW

domenica 28 febbraio 2010

Didascalie nel paese dei porci in festa

Hai il culto delle tue movenze,
fai di tutto per celare la tua mediocrità.
Dipendi sempre da impreviste ingerenze
che distorcono il concetto di puntualità.

Quanti scalini ha il pulpito da cui predichi?
Sembrano infinite queste vie della persuasione.
La cattiveria è un'infame arma in più di chi
di processarti si è creato l'illusione.

Un sorriso al bancomat diseredato
"Ci sarebbe un solo uomo da sposare!"
Senza un progetto io ti ho ammazzato,
poi da solo ho capito di sognare.

C'è una guerra di uccelli impauriti:
riempiono la strada di vestiti usati.
Suonano da sempre gli stessi malinconici spartiti
ma da nessuno si sono mai sentiti amati.

Fare figli è la più antica punizione
per chi dall'uno al dieci si perde nel contare,
chi si inganna col seducente potere della creazione
giura troppe volte e nella salvezza non può più sperare.

Decennio imprigionato in amara venatura
la mia adolescenza l'ho passata ad ingrassare,
cercando nel vento che screpola la pianura
un alloggio in cui si pecca a dimenticare.


venerdì 29 gennaio 2010

Sono già caduto

Come sempre sono io l'incapace.
Come sempre devo assistere alla modulazione dei piccoli fatti altrui.
Come sempre devo pentirmi di essere muto.

Vorrei essere un fiore, un gatto o un piccolo lago perduto.
Vorrei non essere ago, miracolo, sentinella.

Ma poi mi dico che è successo così.
Di cadere non ne ho voglia perchè sono già caduto.
Arrampicarsi è difficile,
Ma la sicurezza è il bene per eccellenza solo quando se ne ricorda l'esistenza.

E a me tutto ciò non serve a niente
Perchè sono un fiore, un gatto e un piccolo lago perduto.

venerdì 1 gennaio 2010

Unità di pulsazione

Credo nella circolarità delle intenzioni, nelle contaminazioni e nelle dissolvenze: ogni protrazione genera una ritrazione equipotente e questa insegue l'altra instancabilmente.

Credo nelle distanze che si accorciano grazie all'inazione, in quelle che volontariamente seminiamo di attriti perchè amiamo essere in difetto e in quelle che corrono lungo sentieri che non prevedono garanzie nè consolazioni.

Credo nella mitezza, che mi appartiene per indole, e nella disciplina, che mi impongo senza mai riuscirci a fondo.

L'autosufficienza della natura, la totale indipendenza dalle nostre pratiche quotidiane di tutto ciò che è per sè, mi incanta. Per questo credo debba instaurarsi un'epoca di rispettosa ammirazione per ciò che avviene nella propria statuaria necessità.

Tutto corre veloce ed è semplicemente meraviglioso sulla terra sotto il cielo.